Come Investire Senza Pagare le Tasse: Piani Individuali di Risparmio PIR

Da qualche tempo è possibile investire senza pagare le tasse senza evadere le imposte grazie ai PIR, i Piani Individuali di Risparmio, un nuovo strumento finanziario che permette ai piccoli risparmiatori di fare piccoli investimenti e fino ad una certa cifra addirittura di investire soldi senza pagare le tasse, ma andiamo a scoprire insieme questi Piani Individuali di Risparmio – PIR

Con la legge di stabilità del 2017, il legislatore italiano ha introdotto un nuovo strumento di investimento del risparmio: i Piani di Risparmio Individuali (PIR), i quali danno la possibilità di investire soldi senza pagare le imposte.

Come investire senza pagare le tasse: Piani Individuali di Risparmio PIR

Gli investimenti in PIR, esentasse rispettando i vincoli previsti dalla legge, i soldi che si impiegano utilizzando questi strumenti, infatti, non sono colpiti dalle tassazioni sul reddito, siano esse di capitali o “diversi”, e dalla tassa di successione.

Allo scopo di sfruttare questa agevolazione è necessario rispettare alcuni vincoli:

  • I capitali raccolti attraverso i Pir devono essere, infatti, destinati per  il 70% ad imprese italiane, o dell’Unione europea oppure che abbiano una organizzazione stabile nel nostro Paese.
  •  Un terzo dei capitali, invece, deve essere indrizzata ad imprese che non siano comprese tra le 40 società italiane, che costituiscono il paniere di calcolo dell’indice FTSE MIB, il più importante indice azionario della Borsa Italiana;
  • Ciascun investitore deve tenere iI Pir per almeno 5 anni ed è possibile investire massimo di 30 mila euro ogni anno, fino ad un massimo di 150 mila euro di investimento complessivo. Nel caso in cui si dovesse chiedere la liquidazione anticipata del proprio investimento si perderebbe il diritto alle agevolazioni fiscali.

 

A cosa servono i Piani Individuali di Risparmio e come fare attenzione ai costi

 

 

Come investire senza pagare le tasse: Piani Individuali di Risparmio PIRLo scopo di questi strumenti è quello invogliare le famiglie italiane a indirizzare i propri risparmi verso le piccole e medie imprese, spesso ignorate dai risparmiatori.

Essi sono stati introdotti dal legislatore, infatti, per offrire ad esse un canale di finanziamento alternativo a quello bancario bloccato a causa della crisi provocata dalla necessità di smaltire i crediti deteriorati.

Il risparmio sulle tasse offerto agli investitori è importante: ipotizzando un investimento di 5 anni in un Pir azionario, che preveda il versamento di trenta mila euro all’anno per un periodo compreso tra il dicembre del 2011 e il dicembre 2016, avremmo un guadagno lordo di 70.035 euro.

Le trattenute fiscali delle altre forme di investimento ammonterebbero in totale a 18.280 euro, per cui senza Pir il guadagno si ridurrebbe a 51826 euro..

Prima di scegliere di investire i propri soldi in questi strumenti è fondamentale verificare che i costi di gestione degli strumenti finanziari siano bassi per evitare di perdere i benefici fiscali.

In particolare è necessario che il prodotto non preveda commissioni di ingresso o di uscita.

Nel caso in cui esse siano inserite in gestioni patrimoniali è probabile che il risparmio sulle commissioni di ingresso sarà più che compensato dal costo della linea di gestione, che si aggira, in genere, attorno all’1-1,5% e su cui si paga l’Iva al 22%.

Un discorso analogo vale per le polizze d’investimento. Alle spese dei fondi interni si sovrapporranno i caricamenti applicati dalle compagnie assicurative”.

 

 

 

Piani individuali di risparmio: pro e contro

I PIR italiani si rifanno ad esperienze di altri Paesi, in particolare Regno Unito e Francia.

Gli antenati britannici sono stati introdotti nel 1999 e oggi gestiscono 518 miliardi di sterline; essi consentono  di indirizzarsi, infatti, verso strumenti innovativi e danno la possibilità di uscire e rientrare dall’investimento senza rinunciare all’agevolazione fiscale

QUI I PIR ITALIANI CON RENDIMENTI MIGLIORI. – PIR MediolanumPIR Unicredit

La soluzione italiana è più simile ai Plan d’épargne en actions (Pea) d’Oltralpe, i quali risalgono al 1992; dopo un grande successo sono stati abbandonati negli ultimi anni a causa della performance negativa dei mercati durante la crisi finanziaria, la ha portato gli investitori a perdere fiducia nei listini azionari come investimento di lungo termine.

 

Probabilmente anche in Italia sarà lo stesso, il successo dei Pir dipenderà dai rendimenti di lungo periodo del mercato finanziario.

Tra i pareri favorevoli all’introduzione dei Pir c’è quella di Massimo Scolari, presidente dell’associazione delle Società di consulenza finanziaria, ad opinione del quale il merito principale di questo strumento è quello di incoraggiare l’investimento a medio lungo termine, poiché i risparmiatori devono essere educati ad abbracciare un orizzonte più ampio, meno speculativo d’altronde è l’unico modo di investire senza pagare le tasse, cioè senza pagare il 26% annuo sul rendimento, che non è poco!

Paolo Galvani, presidente e co-fondatore di Moneyfarm, uno dei principali robo-advisor, ha maturato, al contrario, una opinione negativa sui Pir. Egli ha fatto riferimento al rischio geografico e ha affermato che che spesso detengono una quota cospicua di attivi nazionali, come titoli di Stato, fondi o azioni quotate in Piazza Affari e ha affermato che  “Concentrare ancora di più gli investimenti dei risparmiatori in Italia, facendoli investire in un settorie, quello delle piccole e medie imprese italiane, nel quale è difficile smobilizzare il proprio investimento non è un fattore positivo“.

 

Conclusioni sui Piani Individuali di Risparmio – PIR, il modo di investire senza pagare le tasse

Personalmente propenderei per un approccio prudenziale nei confronti di questo nuovo strumento di investimento. I PIR non sono tutte rose, ci sono anche diverse spine: è vero che concede un’agevolazione fiscale, però impone tanti vincoli, che fanno riflettere.

Il più importante freno alla possibilità di investire senza pagare le tasse, è che il risparmiatore dovrebbe tenere il suo investimento fermo per cinque anni per potere godere appieno della esenzione delle tasse, perché l’agevolazione non ci sarebbe più nel caso in cui chiedesse la liquidazione del suo investimento prima. Nel frattempo sarebbe esposto al rischio di investimento in piccole e medie imprese italiane particolarmente deboli, il quale risulta essere molto alto,  a causa delle loro dimensioni limitate e la scarsa produttività della loro forza lavoro, ai venti della concorrenza internazionale.

Gran parte degli analisti è concorde nel ritenere che l’agevolazione fiscale inerente questo prodotto non sia un premio per il risparmiatore che investe nelle imprese italiane, ma un prezzo per il rischio per chi intende scegliere questo tipo tipo di operazione. In un processo di diversificazione del rischio il peso di questi prodotti nel portafoglio in investimento totale del singolo rismparmiatore non dovrebbe superare una percentuale del 5 per cento, poichè è eccessiva la rigidità che lo contraddistingue ed è molto alto il rischio di subire perdite.

Ancora una volta si è persa l’occasione di fare una legge più favorevole ai risparmiatori, poichè si sarebbe potuto prevedere lo stesso tipo di agevolazione fiscale per i fondi pensione. In questo caso, si sarebbe potuto dare un impulso alle previdenza integrativa e si sarebbero coinvolti nel finanziamento soggetti con capitali di entità tale da rendere possibile la sopportazione del rischio di una maggiore rigidità dei propri investimenti.

D’altro canto va sottolineato, che accontentare tutte e 2 parti non è semplice, qui si vuole, tra l’altro:

  1. Dare la possibilità di investire senza pagare le tasse, significa cercare di invogliare il piccolo risparmiatore italiano ( ma non tanto piccolo, visto che il limite è di 150.000 euro) a mantenere i propri investimenti in Italia, senza cercare di evadere il fisco portando capitali all’estero – fenomeno ormai frequente anche tra i cosiddetti piccoli risparmiatori –  dove le aliquote fiscali sono enormemente inferiori del 26% di tasse sui rendimenti di un anno.
  2. Aiutare le medie imprese che ancora non sono quotate in Borsa ( ma che hanno passato delle valutazioni da Borsa Italiana) a trovare capitali per fare impresa, quindi creare ricchezza e posti di lavoro nel Nostro paese.

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Fondatore di Economia Italia nel 2014, ha frequentato la Facoltà di Economia e Commercio presso l'Università di Perugia. Collaboratore di varie testate, blog e siti in cui scrive approfondimenti di economia italiana, finanza, trading, politica ed economia internazionale, lavoro, fare impresa, marketing, rinnovabili, motori.

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