Avvocato del Lavoro: Come Diventarlo e Quanto Guadagna

Un avvocato del lavoro può definirsi quale avvocato professionista che ha acquisito una preparazione approfondita nell’ ambito del diritto del lavoro.

Come facile intuire, il percorso per diventare avvocato del lavoro inizia con l’ iscrizione alla facoltà di Giurisprudenza in Università. Durante il corso di studi, oltre a sostenere gli esami fondamentali, è possibile sostenere esami afferenti il mondo del lavoro, dell’ economia e dell’ impresa.

Concluso il ciclo di studi, ora quinquennale, è opportuno essere assegnatari di una tesi in diritto del lavoro.

A seguire è opportuno frequentare un ciclo di formazione in ambito della legislazione del lavoro, e/o svolgere il tirocinio, previsto per sostenere l’ esame da avvocato, presso uno studio legale che si occupa di tematiche inerenti le controversie di lavoro.

Una volta terminato il periodo di tirocinio, e sostenuto l’ esame per diventare avvocato, si inizia il percorso professionale vero e proprio, magari associandosi ad uno studio legale che si occupa di tematiche lavorative, ed iniziare la professione di avvocato.

Questa una breve e concisa definizione di avvocato del lavoro.

Nel concreto di cosa si occupa un avvocato del lavoro, chi è e quanto guadagna?

Avvocato del Lavoro: Come Diventarlo e Quanto Guadagna

La figura di avvocato del lavoro

Un avvocato del lavoro, quindi, è un avvocato vero e proprio che ha seguito un corso di laurea, e sostenuto con successo l’ esame di avvocato.

Parliamo, possiamo dire meglio, di un professionista con una preparazione approfondita in legislazione del lavoro. Nelle sue competenze troviamo la gestione delle controversie tra dipendenti, o dipendenti cessati dal servizio contro i rispettivi datori di lavoro. L’ avvocato del lavoro offre la sua preparazione ed assistenza sia ai lavoratori, sia alle aziende assistite, fornendo un idoneo supporto da giuslavorista per la composizione delle controversie.

L’ avvocato del lavoro assiste, quindi, datore di lavoro, o lavoratore, nel caso in cui sorga una controversia lavorativa di tipo economico legata al contratto di lavoro, così come il sorgere ed il chiudersi del rapporto di lavoro. Nell’ ambito delle competenze, troviamo inoltre la gestione delle controversie attinenti le regole e norme riguardanti il rapporto di lavoro.

Abbiamo sentito parlare spesso di controversie legate ai licenziamenti sia individuali, sia collettivi.

L’ assistenza di un buon professionista, o meglio giuslavorista, riguarda, quindi, i licenziamenti, i trasferimenti dell’ impresa, la gestione dei contratti di lavoro, mobbing, problematiche legati agli inquadramenti contrattuali e mansioni da svolgere, dimissioni per giusta causa, sanzioni disciplinari, tutela della salute dei lavoratori e molto altro che attenga ad una possibile controversia in ambito lavorativo.

Ma quando è bene chiedere il supporto di un avvocato del lavoro?

Rivolgersi ad un avvocato del lavoro

La domanda che sorge spontanea è il quando rivolgersi ad un giuslavorista, a chi rivolgersi, e se sia opportuno farlo.

Nei casi citati poco fa, al termine del paragrafo precedente, risulta chiaro da subito come risulti opportuno cercare un valido avvocato del lavoro quantomeno per chiedere la sua assistenza per decidere come muoversi di fronte al diritto (attinente il rapporto di lavoro) che si vuol far valere.

Il nostro legislatore nazionale ha fissato termini (di azione) ben definiti per quanto attiene le controversie di lavoro. La volontà pare essere quella di risolvere tempestivamente ogni controversia afferente il lavoratore e l’ azienda.

Se consideriamo i tempi legali per fare opposizione ad un licenziamento non reputato legittimo possiamo renderci facilmente conto di tale peculiarità. Il termine fissato dal legislatore viene fissato in 60 giorni dalla ricezione della comunicazione (lettera) di licenziamento per poter impugnare la decisione.

L’ iter comincia con la comunicazione di voler impugnare il provvedimento contro il datore di lavoro.

La particolarità della normativa del lavoro prevede che nel caso in cui, entro 180 giorni dalla comunicazione di voler impugnare il provvedimento, non si adisca il tribunale, o non si promuova un tentativo di conciliazione o arbitrato, l’ impugnazione sia inefficace.

Nel caso sia stata prescelta la via dell’ arbitrato, ed il datore di lavoro non dia seguito alla volontà di definizione della controversia in via stragiudiziale, il lavoratore può procedere in via ordinaria rivolgendosi al Tribunale entro 60 giorni dall’ avvenuto rifiuto.

La tempistica della definizione delle controversie del lavoro ha, come già detto, tempi stringenti e ben definiti. Questa la volontà del legislatore, ed il caso del licenziamento è solo citato a titolo di esempio. Tempistiche stringenti vi sono anche per impugnare i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e/o a progetto.

Modalità di gestione delle controversie di lavoro

La scelta di un avvocato del lavoro, oltre le competenze ed i costi da sostenere (si veda oltre), deve tenere conto del fatto che le controversie di lavoro seguono un iter di definizione scandito esattamente dalla legge.

Dopo aver individuato l’ avvocato del lavoro che tutelerà i nostri diritti, è bene sapere che la risoluzione delle controversie di lavoro in via stragiudiziale ha un trattamento di favore nella volontà del legislatore. Un buon avvocato provvederà a consigliare il proprio assistito sulla riduzione dei tempi, e dei costi, che tale modalità comporta.

Un lavoratore che intende promuovere una causa di lavoro può decidere di esperire, in via preliminare, un tentativo di conciliazione (Commissioni di conciliazione presso le direzioni territoriali del lavoro, o sedi sindacali qualora i contratti collettivi di lavoro lo consentano).

L’ avvocato del lavoro supporterà l’ assistito in ogni necessità tecnica, o sostanziale, riguardante il tentativo di conciliazione.

Similmente avviene per l’ arbitrato. Anche l’ arbitrato è una modalità di risoluzione delle controversi stragiudiziale.

Le parti coinvolte nella controversia possono decidere di deferire la decisione ad una Commissione di conciliazione presso la direzione territoriale del lavoro: modalità di definizione è proprio un arbitrato rituale.

L’ avvocato del lavoro ha il compito di assistere, tutelare, e consigliare al meglio il proprio cliente (lavoratore).

La possibilità di far definire la controversia di lavoro dal Tribunale avviene nel caso in cui le parti rifiutano, o non riescano a raggiungere un accordo stragiudiziale. Sarà il Tribunale competente per materia e territorio, nella figura del giudice monocratico del lavoro a definire la controversia. La controversia, seguendo l’ iter procedurale tradizionale, può trascinarsi sino in Cassazione (terzo grado di giudizio).

Ma quanto costa un avvocato del lavoro, e collegato, quanto guadagna?

Il guadagno di un avvocato del lavoro

Quando parliamo di avvocato, parliamo di una professione da tempo reputata di prestigio.

L’ evoluzione della società, e la crisi economica, hanno però ridotto le parcelle dei legali ed i conseguenti guadagni. D’ altra parte, l’ alto numero degli avvocati presenti in Italia, contribuisce a creare concorrenza ed a ridurre le parcelle professionali.

Se vogliamo generalizzare, consideriamo che un avvocato, compreso un avvocato del lavoro, da circa Eur 50000,00 di guadagno annuale nel primo decennio del nuovo millennio ha visto scendere il guadagno a circa Eur 30000,00 annui. La generalizzazione è, forse, grossolana in quanto esistono studi legali giuslavoristi che hanno parcelle elevate, così come vi sono avvocati giuslavoristi che applicano tariffe calmierate, considerando la rilevanza sociale attuale delle controversie.

Ricordiamo, in conclusione, come la Corte Costituzionale ha deciso, nel 2018, per l’ illegittimità costituzionale dell’ articolo 92 del codice di procedura civile laddove statuisce l’ obbligo di pagamento delle spese legali per chi ricorre al giudice per impugnare un licenziamento ritenuto illegittimo, e perde la causa.

Nella volontà della Consulta vi è la decisione di rafforzare i diritti dei lavoratori, post eliminazione dell’ articolo 18 dello Statuto, affermando come non si possa penalizzare chi risulta essere (sovente) vittima di un’ ingiustizia, considerando la disparità economica esistente tra lavoratore e lavoratore, anche nel caso di soccombenza del lavoratore.

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