Leonardo Del Vecchio, scomparso il 27 giugno 2022 all’età di 87 anni, è stato una figura leggendaria nel panorama imprenditoriale italiano e globale, un autentico “self-made man italiano” la cui traiettoria ha trasformato l’industria dell’occhialeria. La sua straordinaria ascesa, che lo ha portato a diventare il secondo uomo più ricco d’Italia e il 52° al mondo con un patrimonio valutato da Forbes in circa 27,3 miliardi di dollari al 10 aprile 2022, è un caso di studio sul valore della visione e del controllo.
La sua filosofia di vita e di lavoro affondava le radici nella sua infanzia in collegio e nel suo precoce ingresso nel mondo del lavoro, a soli 14 anni. Del Vecchio ha sempre sostenuto l’importanza di rimanere vicino ai suoi dipendenti e di non dimenticare le proprie origini, un tratto distintivo della sua leadership. Questa comprensione profonda del valore del lavoro manuale e la ricerca di autosufficienza non erano solo tratti personali, ma imperativi che hanno plasmato la sua intera strategia d’impresa. La sua ossessione per il controllo, una costante in tutta la sua carriera, si è manifestata nella sua scelta di non limitarsi alla produzione di componenti, ma di estendere la sua influenza sull’intera filiera produttiva.
La scomparsa di un tale titano ha inevitabilmente sollevato complesse questioni relative alla successione e alla gestione del suo vasto impero finanziario. La maggior parte delle sue partecipazioni e della sua liquidità erano infatti detenute all’interno della holding lussemburghese Delfin, una “cassaforte” di famiglia che ora è al centro di dinamiche complesse e di disaccordi tra gli eredi, che mettono in discussione la stabilità e la direzione futura dell’impero.
Capitolo I: Agordo e la Nascita di Luxottica: La Visione di un Imprenditore
Le origini di Leonardo Del Vecchio sono state fondamentali per la sua formazione come imprenditore. Nato a Milano, fu uno dei cinque figli di una madre vedova che faticava a sostenere la famiglia. A 14 anni, la necessità lo spinse a cercare lavoro, diventando apprendista in una bottega di Milano specializzata nella produzione di utensili e stampi per il metallo. Qui acquisì le competenze cruciali nella lavorazione dei metalli che si sarebbero rivelate essenziali per la sua futura attività nel settore dell’occhialeria. La sua esperienza giovanile gli inculcò l’importanza del lavoro duro e la determinazione a raggiungere l’indipendenza.
Nel 1958, o secondo altre fonti nel 1961, Del Vecchio decise di trasferirsi in provincia di Belluno, ad Agordo, nel cuore del distretto veneto dell’occhialeria. Questa non fu una scelta casuale, ma una decisione profondamente strategica. La comunità montana di Agordo offriva terreni gratuiti e supporto economico ai giovani imprenditori che volevano impiantare nuove aziende. Questo approccio pragmatico, volto a minimizzare i costi di avvio e a massimizzare l’accesso a manodopera qualificata e a un ecosistema industriale già consolidato, dimostrò fin da subito la sua acuta intelligenza imprenditoriale.
Ad Agordo, Del Vecchio fondò Luxottica s.a.s. nel 1961, avviando inizialmente una piccola officina che produceva componenti e semilavorati per l’industria ottica. L’azienda impiegava circa dieci persone, le cui competenze erano molto apprezzate dai clienti. Questa fase iniziale di umili origini, in cui l’azienda si limitava a produrre parti di occhiali, fu il trampolino di lancio per una crescita che avrebbe presto superato i confini regionali. Il fondatore aveva un piano ben preciso in mente, e ogni sua mossa, dalla scelta della location al tipo di produzione, era finalizzata a un obiettivo più grande.
Capitolo II: La Strategia del Successo: Integrazione Verticale, Licenze e Crescita Globale
La vera svolta per Luxottica e il fattore chiave del suo successo globale fu l’adozione della strategia di integrazione verticale, una visione che Del Vecchio aveva maturato fin dai primi anni di attività. A partire dal 1974, Luxottica iniziò a prendere il controllo dell’intera filiera produttiva, smettendo di essere un semplice fornitore di componenti e trasformandosi in un produttore di occhiali finiti. Questa scelta era profondamente radicata nella sua convinzione che il controllo su ogni aspetto, dallo sviluppo del prodotto al dettaglio, fosse l’unica via per garantire qualità, innovazione e redditività a lungo termine.
L’integrazione verticale, secondo le teorie economiche, permette a un’impresa di aggirare i “fallimenti del mercato” e il “potere di mercato” esercitato da fornitori o distributori esterni, massimizzando così la profittabilità. Questo modello ha permesso a Luxottica di evolversi costantemente. Negli anni ’80, l’azienda si espanse a livello internazionale acquisendo distributori indipendenti per gestire la distribuzione in autonomia. La crescita come marchio ha camminato di pari passo con l’espansione commerciale. Un’altra mossa strategica fu la stipula di accordi di licenza con marchi di lusso di fama mondiale. Il primo fu con Giorgio Armani nel 1988, seguito da collaborazioni con nomi come Bulgari, Chanel e Prada. Questi accordi hanno permesso a Luxottica di produrre e distribuire occhiali per i marchi più prestigiosi, consolidando la sua posizione come partner di fiducia nel segmento del lusso.
L’espansione ha trovato ulteriore slancio con la quotazione in borsa, che ha fornito i capitali necessari per acquisizioni su larga scala. Tra le più significative si annoverano l’acquisizione del rivenditore al dettaglio Sunglass Hut nel 2001 e, nel 2007, l’acquisto del marchio californiano Oakley per circa 2,1 miliardi di dollari. Questa operazione non fu solo l’acquisto di un marchio di occhiali sportivi di successo, ma l’integrazione di una rete di distribuzione e di una reputazione di innovazione, consolidando ulteriormente il controllo sulla catena del valore e sul mercato. L’azienda è cresciuta fino a generare ricavi per oltre 9 miliardi di euro nel 2017, con un utile netto quasi raddoppiato dal 2013. La sua presenza globale, con il Nord America che rappresentava il 57% dei ricavi nel 2017, dimostra l’efficacia di questa strategia a lungo termine.
Capitolo III: Il Sogno della Fusione: La Nascita di EssilorLuxottica
Il culmine della visione strategica di Del Vecchio è stato il raggiungimento del “sogno” di unire montature e lenti “sotto lo stesso tetto”. Questo sogno si è realizzato con la fusione da 50 miliardi di euro tra Luxottica e la francese Essilor, annunciata nel 2017 e completata il 1° ottobre 2018. L’unione ha dato vita a un colosso globale, EssilorLuxottica, che integra la leadership di Luxottica nella produzione di montature e quella di Essilor nelle lenti oftalmiche e nelle tecnologie per la cura della vista.
L’annuncio della fusione fu accolto con entusiasmo dal mercato, con il titolo Luxottica che registrò un’impennata del 14% e Essilor un balzo del 16% alla borsa di Parigi. L’accordo prevedeva che la holding Delfin, già azionista di maggioranza di Luxottica, divenisse il principale azionista della nuova entità con una quota del 38,93%. Del Vecchio, a 82 anni, fu nominato Presidente esecutivo della nuova società, a riprova del suo ruolo centrale nell’architettura del settore.
La fusione ha rappresentato il passo finale nella strategia di integrazione verticale di Del Vecchio. Unendo le due aziende, ha potuto estendere il controllo dal prodotto finito al componente tecnologicamente più avanzato e cruciale: la lente. L’obiettivo era creare un’organizzazione che potesse servire i 2,5 miliardi di persone che non hanno accesso alla correzione visiva, con una catena di fornitura che combina efficienza, velocità e prossimità. Le performance finanziarie recenti dimostrano la solidità di questa visione. EssilorLuxottica ha registrato una crescita costante, con un fatturato del terzo trimestre 2024 in aumento del 4% e un’ottima performance in tutte le aree geografiche e in entrambi i segmenti di business, sia “Professional Solutions” che “Direct to Consumer”. Nel primo trimestre del 2025, il fatturato è ulteriormente cresciuto del 7,3% a cambi costanti.
Capitolo IV: Il Patrimonio e le Partecipazioni: Oltre l’Eyewear
Al momento della sua scomparsa, il patrimonio di Leonardo Del Vecchio, stimato a 27,3 miliardi di dollari, andava ben oltre il solo settore dell’occhialeria. Tutte le sue partecipazioni strategiche erano gestite attraverso la holding di famiglia, Delfin S.à r.l., con sede in Lussemburgo, che funge da vera e propria “cassaforte” per il suo impero.
Il portfolio di Delfin era vasto e diversificato, con investimenti in settori chiave dell’economia europea. Le principali partecipazioni della holding includevano:
- EssilorLuxottica: 38,4% del capitale, consolidando la sua posizione come azionista di riferimento nel settore.
- Mediobanca: 19,8% del capitale.
- Assicurazioni Generali: 9,77% del capitale.3 Secondo altre fonti, il patrimonio della famiglia Del Vecchio possedeva circa il 5% di Assicurazioni Generali, con una capitalizzazione di mercato di 37 miliardi di euro.
- Covivio: 28% del capitale.
- Luxair: 13% del capitale.
- Unicredit: 1,9% del capitale.
La strategia di Del Vecchio con le sue partecipazioni finanziarie, in particolare in Mediobanca e Generali, non era puramente speculativa. Rappresentava un’estensione della sua filosofia di “controllo”, applicata al mondo della finanza italiana. Nonostante le ingenti minusvalenze subite, la sua volontà di accrescere la quota in Mediobanca testimoniava un obiettivo che andava oltre il semplice investimento. Del Vecchio si era impegnato in una “guerra” per cambiare la governance e le strategie di queste storiche istituzioni finanziarie, ritenute da lui poco dinamiche e ancorate a vecchi equilibri di potere. Il suo intento era quello di modernizzare il sistema finanziario italiano dall’interno, tentando di creare un polo bancario e assicurativo di livello europeo, paragonabile a giganti come Axa e Zurich. Le sue azioni erano un tentativo di applicare la sua visione imprenditoriale, basata sulla meritocrazia e sull’efficienza, a un settore percepito come un “salotto” chiuso e autoreferenziale.
Società | % di Partecipazione (al 2022) |
EssilorLuxottica | 38,4% |
Mediobanca | 19,8% |
Assicurazioni Generali | 9,77% |
Covivio | 28% |
Luxair | 13% |
Unicredit | 1,9% |
Capitolo V: L’Eredità e le Sfide della Successione
La scomparsa di Leonardo Del Vecchio il 27 giugno 2022 ha segnato l’inizio di una nuova e complessa fase per l’impero da lui costruito. L’apertura del suo testamento ha rivelato una struttura successoria improntata alla ripartizione paritetica, una scelta che rifletteva la sua volontà di evitare la designazione di un unico erede. Il capitale della holding Delfin è stato infatti diviso in otto quote uguali, ciascuna del 12,5%, assegnate a: la moglie Nicoletta Zampillo, i suoi sei figli (Claudio, Marisa, Paola, Leonardo Maria, Luca e Clemente), e il figliastro Rocco Basilico. Questa divisione, apparentemente equa, è diventata la radice dei disaccordi attuali.
Le controversie più significative si sono concentrate sulla governance e sulla gestione della holding. Gli eredi sono “ancora divisi” sulla modifica dello statuto di Delfin. Lo statuto attuale, voluto dal fondatore, prevede che le decisioni più importanti, inclusa la distribuzione dei dividendi, richiedano una maggioranza qualificata di 6 su 8 soci. Questa clausola ha creato un equilibrio precario: un gruppo minoritario di soli tre eredi può bloccare delibere cruciali.
Un esempio lampante di questo stallo si è verificato nel 2024, quando la delibera sulla distribuzione dei dividendi è stata bloccata dal voto contrario dei figli più giovani, Paola, Luca e Clemente, nonostante l’utile netto di Delfin per il 2024 si prevedesse di circa 1 miliardo di euro. Questa situazione non ha solo causato frizioni familiari ma ha anche sollevato incertezze sul futuro degli investimenti finanziari del gruppo, con voci su un possibile disimpegno da parte di alcuni asset.
A complicare ulteriormente il quadro si aggiungono le dispute legali relative ai lasciti testamentari ai manager di fiducia, in particolare a Francesco Milleri e Romolo Bardin. Le controversie vertono sull’interpretazione del testamento e sul fatto se le quote azionarie ricevute dai manager debbano essere considerate “al lordo” o “al netto” delle tasse di successione, un aspetto che ha richiesto l’intervento dei tribunali. Il testamento non ha fornito indicazioni precise sulla governance futura della holding, lasciando che il potere decisionale si trasferisse dal singolo individuo a un consiglio di amministrazione il cui statuto è ora al centro del conflitto.
Erede | Rapporto di Parentela | % di Partecipazione in Delfin |
Nicoletta Zampillo | Moglie | 12,5% |
Claudio Del Vecchio | Figlio | 12,5% |
Marisa Del Vecchio | Figlia | 12,5% |
Paola Del Vecchio | Figlia | 12,5% |
Leonardo Maria Del Vecchio | Figlio | 12,5% |
Luca Del Vecchio | Figlio | 12,5% |
Clemente Del Vecchio | Figlio | 12,5% |
Rocco Basilico | Figliastro | 12,5% |
Conclusioni: L’Impero e il suo Futuro
La storia di Leonardo Del Vecchio è la narrazione esemplare di un’ascesa imprenditoriale, segnata da un’incrollabile determinazione e da una visione strategica lungimirante. Partendo da umili origini, ha costruito un impero globale attraverso un modello di business basato sul controllo assoluto dell’intera catena del valore, dalla produzione alla distribuzione. La fusione con Essilor, culmine di questa strategia, ha consolidato la sua posizione di leader indiscusso nel settore dell’occhialeria, unendo sotto un’unica bandiera montature e lenti.
Tuttavia, il lascito di un tale visionario è anche un caso di studio sui rischi della pianificazione successoria. La decisione di Del Vecchio di ripartire la sua “cassaforte” in parti uguali tra otto eredi, senza designare un successore unico, ha creato una situazione di equilibrio precario. Le controversie attuali sullo statuto e sui dividendi della holding Delfin riflettono le difficoltà di gestire un impero complesso in assenza della figura carismatica e decisionale del suo fondatore. Il futuro dell’impero Del Vecchio non è quindi solo una questione di asset e bilanci, ma dipende in gran parte dalla capacità degli eredi di superare i disaccordi e trovare una visione comune che possa garantire stabilità e continuità. La coesione familiare e la capacità di trovare un consenso divengono, di fatto, i nuovi fattori determinanti per la prosperità di un’eredità che, per decenni, è stata il frutto della visione di un singolo uomo.