Come le Banche Centrali Tedesca e Italiana Finanziarono Hitler e Mussolini

Finalmente sta uscendo allo scoperto un pezzetto di storia che solo alcuni addetti ai lavori conoscevano. In questi ultimi mesi stanno uscendo libri e ricerche sulle sovvenzioni, a volte regali, a volte direttamente rapine legalizzate, che furono fatte dalle istituzioni nazionali come la Banca d’Italia o la Reichsbank ( ex Bundesbank) tedesca per finanziare i rispettivi regimi o qualche singolo esponente di spicco.

In un recente studio, la Bundesbank si è impegnata a fare i conti con il passato nazista della Reichsbank, l’istituto che l’ha preceduta, promettendo di combattere l’antisemitismo e la discriminazione. Questo impegno è stato annunciato attraverso la diffusione di un riassunto di una serie di volumi in arrivo, in un periodo in cui l’estrema destra sta guadagnando terreno in Germania, provocando proteste nazionali in un paese ancora profondamente segnato dagli eventi del XX secolo. La ricerca ha evidenziato come la Reichsbank abbia supportato finanziariamente gli sforzi bellici di Hitler, contribuito allo sfruttamento dei territori occupati e partecipato alla confisca e vendita dei beni ebraici, agendo così come complice nel cosiddetto “olocausto finanziario“.

La Bundesbank, fondata nel 1957 a Francoforte, ha cercato di distanziarsi dalle pratiche della Reichsbank la cui sede era a Berlino, scioltasi dopo la Seconda Guerra Mondiale e temporaneamente sostituita dalla Bank deutscher Länder.

Nonostante l’oro della Reichsbank fosse stato confiscato dagli Alleati, una parte del personale, in particolare a livelli intermedi, fu assunta dalle nuove istituzioni bancarie dopo un processo di “denazificazione”, i cui criteri si allentarono progressivamente dopo il 1948, quando la Germania iniziò a reintegrarsi maggiormente con l’Occidente.

Questo periodo ha visto una certa continuità di personale a livelli funzionali simili a quelli di altre istituzioni pubbliche e ministeri, sottolineando la sfida di eliminare completamente l’influenza nazista.

Il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, ha esortato a imparare da questi insegnamenti, sottolineando l’importanza di non escludere le minoranze o permettere alle istituzioni di compromettere i valori democratici, ripetendo lo slogan contro l’antisemitismo usato nelle recenti proteste contro l’estrema destra.

Come le Banche Centrali Tedesca e Italiana Finanziarono Hitler e Mussolini
Come le Banche Centrali Tedesca e Italiana Finanziarono Hitler e Mussolini

Bankitalia e i prelievi del DUCE

A Roma invece il Duce prelevava soldi a suo piacimento da Banca Italia.

Erano prelievi non rendicontati, che servivano per tutto, dagli abiti per le sue amanti, ad iniziative popolari, insomma Mussolini  quando aveva bisogno di soldi, mandava un bigliettino alla Banca d’Italia, qui i responsabili gli mandavano quanto gli serviva e solo grazie all’onestà di alcuni di loro non ci trovammo senza uncentesimo alla fine della guerra

[ da_l’oro e la patria di Federico Fubini ]

L’oro di Dongo

L’ “Oro di Dongo” è una espressione giornalistica per descrivere l’oro degli italiani che Mussolini portò con sè quando tentò la fuga dall’Italia e fu fucilato.

Si parlava di camion interi pieni di oro quel’oro che gli italiani sacrificarono ” per la patria” cioè milioni di fedi nuziali di povere donne che avevano il marito al fronte, e sebbene quella fosse una esagerazione si sa per certo che qualcosa con loro i fascisti che scappavano insieme al Duce, avevano portato di sicuro.

Per anni la stampa italiana si occupò dell’Oro di Dongo ma nonostante le ipotesi più incredibili e le più probabili, la verità non saltò mai fuori.

Molti dicono che Licio Gelli, ex fascista e uno dei responsabili del servizio segreto fascista ( poi Gran Maestro della Loggia Massonica segreta P2 negli anni 60 e 70) sapeva dove era nascosto, fece un accordo con i comunisti, i quali lo presero quasi tutto e in parte lo lasciarono a Gelli per riciclarlo, con quei soldi pare ci comprarono Botteghe Oscure ed altri sedi di Partito.

Gelli pare che lo portò ad Arezzo dove lo fece lavorare e se ne tenne un po per sè, oltre che ad arricchire una cittadina che prevalentemente era fatta di agricoltori. Ma si tratta di dicerie. Vodi di popolo. Supposizioni. Che però si sono stratificati in questi ultimi 80 anni in tutto l’aretino.

La realtà non è mai venuta fuori in modo chiaro e comprovato. 

Nell’aprile del 1945, un anno tumultuoso nella storia italiana segnò la fine del regime fascista e della vita di Mussolini. Di questo periodo è significativa la scoperta all’interno del giardino di Villa Montero a Como, dove avevano soggiornato Mussolini e la sua famiglia. Nascosto sotto un cumulo di macerie, i partigiani hanno trovato un sacco, presumibilmente nascosto da qualcuno che intendeva recuperarlo in seguito. Questa scoperta avvenne dopo che la villa fu occupata da privati ​​in seguito all’esecuzione di Mussolini e alla liberazione di Como da parte delle forze partigiane. Il contenuto del sacco, nascosto in attesa di essere trasportato via, è stato ritrovato prima che potesse essere rimosso, grazie all’impegno dei “Volontari della Libertà”. Questi volontari furono chiamati a presidiare la zona dal colonnello Pinto, che aveva requisito Villa Montero per conto del comando militare locale.

Il 29 aprile 1945 il colonnello Pinto, accompagnato dai partigiani tra cui il capitano Visco e dai volontari Marco Bianchi e Vincenzo Cassarino, presentò al prefetto di Como l’avvocato Bertinelli del Partito Socialista nominato dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Pinto portò un pacco avvolto nella carta da imballaggio che conteneva il sacco. Lo scarto del sacco lasciò tutti stupiti, rivelando il suo prezioso contenuto rimasto nascosto fino alla scoperta da parte delle forze liberatrici, evidenziando un momento di intrigo e rivelazione nell’immediato periodo successivo alla liberazione dell’Italia dal fascismo.

Il contenuto del misterioso sacco che era con Mussolini

Nel sacco c’era una raccolta di oggetti di inestimabile valore, evidenziando un pezzo particolarmente prezioso: il collare dell’Annunziata. Questo pezzo, massima onorificenza conferita dalla Real Casa Savoia, presenta tre nodi sabaudi di forma triangolare con al centro la Madonna e un angelo inginocchiato, a simboleggiare l’Annunciazione. Questa decorazione esclusiva era limitata a soli 20 individui alla volta, assegnata solo alla morte dell’attuale detentore, e doveva essere indossata solo durante le occasioni solenni alla presenza del re, indicando chi la indossava come un “cugino del re”. ” Fu conferito al Duce dal re Vittorio Emanuele III il 16 marzo 1924.

Inoltre, la collezione conteneva altre preziose decorazioni come un collare in oro e diamanti donato dallo Scià di Persia, una collana in ambra, una collana in quarzo, una medaglia al merito della National Maternity and Childhood Association datata 1926, un bastone di comando del 1928 consegnata al Duce dagli invalidi e reduci di guerra di Milano il 22 maggio 1930, e una medaglia commemorativa per il venticinquesimo anniversario della Regia Accademia Navale. Tra le onorificenze figurava anche una medaglia commemorativa dei Patti Lateranensi, datata 11 febbraio 1929, originariamente ritenuta interamente d’oro ma poi ritenuta dalla Banca d’Italia semplicemente placcata in oro.

Numerosi medaglioni e onorificenze estere, donati a Benito Mussolini da vari Stati, sono stati ritrovati in un sacco. Tra questi, l’Ordine dell’Elefante Bianco del 1926, la croce di Vytis della Lituania del 1927, la gran croce dell’Ordine della Besa conferita dal Re Zogu d’Albania nel 1926, il gran collare dell’Albania del 1928, la croce austriaca con aquila bicipite e stemma del 1930, il commendatore dell’Ordine di Leopoldo del Belgio, l’Ordine del Liberatore e della Stella del Nepal del 1934, e la gran croce dell’Ordine dell’Aquila Tedesca da Hitler nel 1939. Oltre a questi, nel sacco vi erano oggetti personali di Rachele Mussolini e possibili appartenenze del fratello Arnaldo, inclusi una spilla a forma di lettera “A” e un astuccio in argento a forma di ghianda con un bocchino di avorio e argento.

La gestione di questi preziosi, compresa la suddivisione, fu presumibilmente opera di Mussolini, che li considerava una testimonianza del suo prestigio personale e dei rapporti diplomatici instaurati durante il suo regime. Questi oggetti, insieme a diari e documenti riservati, furono affidati a membri della sua famiglia nella fuga verso la Svizzera, simboleggiando la sopravvivenza della sua identità storica e politica. Dopo essere stati trattenuti dalla Prefettura di Como, i preziosi furono trasferiti alla Banca d’Italia di Como nel giugno 1953 e infine alla tesoreria centrale di Roma il 17 ottobre 1953, sottolineando la rilevanza storica e il percorso di questi oggetti attraverso il tempo.

Perchè ricordare questa storia

Nella Nostra pagina Facebook, dove più spesso abbiamo interazioni coni Nostri lettori leggiamo “Non avendo più sovranità monetaria le Nostre banche centralinon contano più niente e Noi non possiamo fare la politica monetaria che vogliamo

Questo è assolutamente vero, come è vero che se il Governo che c’è in quel momento è inadeguato o addirittura c’è una dittatura allora l’uso che si fa della banca centrale di una nazione può essere assolutamente deleterio, contrario ad ogni tipo di morale e di legge economica.

Avere una istituzione come la BCE anzi, dato che ci sono 27 banchieri centrali che la dirigono è sempre molto cauta ed attenta alle sue politiche monetarie.

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