Banche: il 2022 sarà l’inizio della fine per le filiali?

La pandemia ha velocizzato il tracollo. Istituti di credito a un bivio: tagliare gli sportelli per abbattere i costi o reinventarli come spazi di marketing sul territorio

 

La crisi del coronavirus sta accelerando la scomparsa delle filiali. Anche in Italia il prezzo della pandemia è salato per le banche italiane: lo scorso anno sono stati chiusi 831 sportelli (pari al 3,4% del totale) nel nostro Paese. La Banca d’Italia conferma tale riduzione: da 24.312 sportelli di fine 2019 ai 23.481 di fine dicembre 2020. 

 

È salito, invece, a 2.802 (il 35,4%) su 7.904 complessivi, il numero dei Comuni italiani sprovvisti di uno sportello bancario. Il 40% delle filiali restano concentrate in tre regioni: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Da rilevare, inoltre, che il 75% delle filiali aperte sul territorio sono di banche SPA, il 18% di BCC e il 7% di Popolari.

 

Le restrizioni dovute alla pandemia, sommate alle due concause della digitalizzazione e del mobile banking, stanno rendendo la crisi delle filiali inarrestabile. In un dossier, il Centro studi Orietta Guerri della Uilca (il ramo bancario del sindacato Uil) sostiene che, nel quinquennio 2015-2020, è stato tagliato il 22,4% degli sportelli. Negli ultimi dodici anni da Nord a Sud della Penisola, una filiale su tre è stata chiusa: nel 2008, prima della crisi economica, gli sportelli erano 34.139, oggi se ne contano 10.658 in meno (pari al 31,2%).

Banche: il 2022 sarà l'inizio della fine per le filiali?
Immagine sopra: uno sportello di banca

Questo scenario nero italiano è in linea con ciò che sta accadendo anche in Europa. Sebbene Isabelle Vaillant, direttore responsabile per le regole prudenziali dell’Eba (Autorità Bancaria Europea), si dichiari ottimista sull’attuale solidità delle banche, resta il fatto che in tutto il Vecchio Continente gli istituti di credito, a fronte di interazioni sempre più digitali con i propri clienti e sportelli via via più vuoti, siano costretti a intensificare la sforbiciata delle sedi fisiche per far quadrare i bilanci. Non sorprende, infatti, che gli istituti di credito europei siano i più attivi nell’alleggerire il proprio fardello immobiliare, nel tentativo di dare una boccata d’ossigeno a una redditività in calo.

 

Secondo un’indagine sui database di The Banker, la pubblicazione mensile di affari finanziari internazionali di proprietà di The Financial Times, che ha messo sotto la lente d’ingrandimento le 50 banche (con capitale di classe 1) più grandi al mondo, quelle europee coprono 6 delle 10 posizioni della top ten in fatto di maggior percentuale di taglio alle filiali. 

 

In un editoriale pubblicato lo scorso luglio, Joy Macknight, direttore di The Banker, sostiene che Unicredit è la sola banca nella classifica delle prime 10 ad aver perso più del 20% della sua rete di filiali durante il 2020: in parte per la vendita della sua quota azionaria in Yapi Kredi, il terzo gruppo bancario turco, in parte a fronte del suo programma di ristrutturazione. Sempre nel suo articolo, Macknight ricorda che, nel dicembre 2019 Unicredit aveva infatti annunciato il suo piano di chiudere circa 500 filiali nell’arco dei successivi tre anni, come parte del piano strategico 2020-2023.

 

Altre riduzioni della rete di sportelli sul territorio sono state meno massicce. Société Générale (SocGen) ha chiuso il 7% delle sue filiali, il Banco Santander ha diminuito il suo network del 6%, mentre BBVA, Credit Agricole e Deutsche Bank hanno provveduto a un taglio di filiali del 4% o meno. Tuttavia, non sono solo le banche europee ad abbassare la serranda sulle sedi fisiche. Nella top ten di The Banker ci sono anche quelle cinesi: China Minsheng Bank e Bank of China hanno ridotto la loro rete di sportelli di circa il 7%, mentre la Agricultural Bank of China ha chiuso poco più del 2% della sua rete totale. Inoltre, la Commonwealth Bank of Australia scala la vetta della classifica con un taglio del 5% al suo network. E non è finita qui. 

 

Numerosi istituti di credito hanno in programma un ulteriore colpo di scure.

È del dicembre 2020 la notizia che SocGen ha annunciato la sua fusione con due gruppi bancari locali e la conseguente chiusura di altre 600 filiali entro il 2025. Un mese prima, l’agenzia di stampa Reuters aveva riferito che il Banco Santander aveva in programma di chiudere 1.000 succursali in Spagna. A giugno di quest’anno la connazionale BBVA ha annunciato la chiusura di 480 filiali nel suo mercato domestico. In Germania, infine, Deutsche Bank ha in programma la chiusura altri 150 sportelli.

 

Questa foresta di numeri certifica un’emorragia in corso, di fronte alla quale un interrogativo sorge spontaneo: siamo all’inizio della fine delle filiali? Sì. Una risposta lapidaria che abbiamo registrato anche noi di Save Consulting Group, che studiamo da anni il settore per consulenze, formazione e sviluppo di software in cloud, come la suite applicativa e di controllo delle informazioni bancarie e finanziarie “Tigrearm”.

 

Una risposta contenuta in una recente indagine realizzata da Temenos e dall’Economist Intelligence Unit (EIU), i risultati evidenziano che il 65% dei manager intervistati (al lavoro in più di 300 banche internazionali) crede che per il sistema degli sportelli fisici la campana a lutto stia già suonando: le filiali bancarie saranno “morte” nell’arco di cinque anni, è la loro previsione. 

 

Un futuro, dunque, già scritto e senza appello per le filiali? No, poiché alcuni esperti (controcorrente) del settore bancario credono che ci sia ancora un futuro per gli sportelli. E in Save Consulting Group, come think tank che monitora ogni giorno le novità del comparto bancario e finanziario, non possiamo non tenere conto anche di questa voce fuori dal coro. 

 

Analizzando il World Retail Banking Report 2021, realizzato da Capgemini ed Efma, risulta che il 37% degli 8.559 intervistati nell’ambito di un sondaggio sull’ascolto della voce del cliente (Voice of the customer, VoC) abbia detto che le filiali restano un importante canale della strategia bancaria. 

 

Sebbene il 55% degli intervistati nell’ambito di VoC abbiano espresso una preferenza per le transazioni online, hanno comunque lodato la disponibilità di un luogo fisico in cui potersi appoggiare per le operazioni bancarie. Solo il 14% degli 8.559 intervistati ha dichiarato di non aver più interesse nelle filiali. 

Questo report solleva una questione importante: «Sebbene le filiali rappresentino un costo per le banche, esse rimangono cruciali per i clienti. La filiale – si legge nel report – offre una presenza tangibile del brand sul territorio e all’interno delle comunità e agisce come un baluardo di fiducia. La questione, però, rimane irrisolta, ovvero come faranno le banche a trovare un punto di equilibrio tra i costi delle filiali e il loro valore aggiunto?».

La risposta? Re immaginare le filiali come centri esperienziali, suggerisce il report firmato Capgemini ed Efma. «Nel momento in cui il digitale diventa sempre più dominante, cresce anche l’opportunità per le banche di trasformare gli sportelli da fardelli sul bilancio a centri di amplificazione del valore aggiunto delle istituzioni bancarie. Basti considerare queste cinque aree – relazione, comodità, conoscitore, custode e fascino – per trasformare le filiali in centri esperienziali per il cliente». Le banche siano avvisate: ci potrebbe essere ancora un bottino da capitalizzare dalla rete di sportelli sul territorio.

di: Davide Savelli

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