L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è il principale foro diplomatico mondiale, con due organi centrali per la pace e la sicurezza: il Consiglio di Sicurezza (CdS) e l’Assemblea Generale (AG). Il CdS ha 15 membri, di cui 5 permanenti (USA, Russia, Cina, Francia, Regno Unito) dotati di diritto di veto. Questo veto permette a ciascun membro permanente di bloccare qualsiasi risoluzione sostanziale del CdS. Le decisioni del CdS sono giuridicamente vincolanti, ma la frequente minaccia di veto spesso paralizza l’azione collettiva. L’AG invece comprende tutti i 193 Stati membri, ognuno con un voto, e adotta risoluzioni a maggioranza (senza potere di veto); queste non sono vincolanti ma riflettono il consenso globale. In teoria l’ONU promuove cooperazione universale, ma in pratica le divergenze tra blocchi di Stati hanno riacceso una contrapposizione “autocrazie vs democrazie” che condiziona fortemente l’operato dell’AG e del CdS negli ultimi anni.
Blocchi Geopolitici e Alleanze nell’ONU negli Ultimi Anni
Negli anni recenti si è consolidata una coalizione di potenze autocratiche contrapposta al fronte delle democrazie liberali occidentali, con in mezzo un crescente protagonismo dei Paesi del Sud Globale. Questa dinamica si è accentuata soprattutto dopo il 2022, in seguito a eventi come l’invasione russa dell’Ucraina.
- Potenze Autocratiche in Ascesa: Russia e Cina hanno rafforzato la loro partnership strategica, proclamando nel febbraio 2022 un’“amicizia senza limiti”. Attorno all’asse sino-russo si è coagulata una sorta di fronte anti-occidentale comprendente anche Iran (riavvicinato alla Russia e uscito dall’isolamento grazie alla mediazione cinese), la Corea del Nord (pronta a fornire armamenti a Mosca) e altri regimi autoritari. Nel 2021 questi Paesi hanno formalizzato un’alleanza diplomatica nel Gruppo di Amici in Difesa della Carta ONU, fondato da 17 Stati tra cui Cina, Russia, Iran, Corea del Nord, Siria, Cuba, Venezuela e altri, col dichiarato obiettivo di promuovere il “multilateralismo” e opporsi alle ingerenze e sanzioni unilaterali occidentali. Tale gruppo (oggi 18 membri) si propone come difensore dei principi della Carta, ma di fatto riunisce governi autoritari che fanno fronte comune contro quella che definiscono l’egemonia occidentale. Un effetto tangibile di questa coesione è la reciproca solidarietà alle Nazioni Unite: ad esempio, Pechino e Mosca votano spesso insieme al CdS e sostengono le posizioni reciproche all’AG. Pechino, in particolare, ha accresciuto la sua influenza nel sistema ONU sia assumendo la direzione di agenzie importanti, sia creando dipendenza economica: uno studio AidData ha mostrato che i Paesi che ricevono più prestiti e aiuti dalla Cina tendono a votare in Assemblea Generale con “incredibile fedeltà” alle posizioni cinesi. Questo “soft power” economico e diplomatico ha permesso alla Cina di guadagnare consenso o quantomeno neutralità su temi sensibili (ad esempio molte nazioni africane e asiatiche sostengono la Cina in votazioni su diritti umani, evitando di condannarne le violazioni).
- Democrazie Occidentali e Alleati: Sul fronte opposto, le democrazie liberali (in primis USA, Europa, Giappone, Canada, Australia e altri partner) si sono ritrovate coese di fronte alle sfide lanciate dalle autocrazie. L’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, ad esempio, ha ricompattato la NATO e gli alleati asiatici in un’unità d’intenti imprevista prima. Questo blocco occidentale si presenta alle Nazioni Unite come il difensore dell’ordine internazionale basato sulle regole, invocando il rispetto del diritto internazionale, dei diritti umani e della sovranità degli Stati minori. Gli Stati Uniti, tornati ad un approccio multilaterale sotto l’amministrazione Biden, hanno esplicitamente contrapposto le “democrazie” del mondo ai “regimi autoritari”, cercando di costruire alleanze di Paesi affini nei valori. In sede ONU, le democrazie occidentali coordinano spesso le loro posizioni: ad esempio, l’Unione Europea vota in modo relativamente compatto all’AG su molte questioni, e i membri occidentali del CdS tendono ad agire di concerto. Tuttavia, va notato che l’Occidente rappresenta una minoranza numerica all’AG e spesso deve faticare per ottenere il supporto dei Paesi in via di sviluppo sulle sue iniziative. Inoltre, la credibilità morale occidentale è talora messa in dubbio da accuse di doppi standard: Paesi africani, asiatici o latinoamericani ricordano che gli occidentali, pur promuovendo diritti e democrazia, hanno storicamente sostenuto regimi autoritari quando faceva comodo (fatto rimarcato da critici che sottolineano come gli USA abbiano alleanze militari con decine di Paesi classificati “non liberi”). Ciò complica la narrativa semplificata “libertà vs autocrazia”.
- Il Sud Globale come Terzo Polo: Tra i due blocchi si inserisce una vasta costellazione di Paesi del Sud Globale, un gruppo eterogeneo di nazioni in via di sviluppo in Africa, Asia, America Latina e Medio Oriente. Molti di questi Stati rifiutano di schierarsi nettamente né col blocco occidentale né con quello sino-russo, rivendicando una posizione autonoma o “multiallineata”. Dopo la guerra in Ucraina si è parlato dell’emersione di un “nuovo non allineamento”: fin dai primi voti ONU sulla crisi ucraina, una “massa critica” di Paesi (35 nell’AG del 2 marzo 2022) ha scelto l’astensione, includendo grandi democrazie emergenti come India, Brasile, Sudafrica, nazioni mediorientali (es. Emirati) e molte africane. Questo nuovo Sud Globale – in cui vive oltre metà della popolazione mondiale – non si riconosce nel dualismo Est-Ovest e persegue i propri interessi. Spesso questi Paesi condividono un sentimento anticoloniale: diffidano dell’agenda valoriale occidentale, vista come imposizione “universalista”, e reclamano più equità nell’ordine mondiale. In Africa, ad esempio, vi è risentimento verso le ex potenze europee, che Russia e Cina hanno cinicamente sfruttato proponendosi come partner alternativi. Al tempo stesso, molte di queste nazioni mantengono rapporti sia con l’Occidente sia con Cina/Russia, cercando di massimizzare i benefici da entrambe le parti (esempio emblematico l’India, che condanna l’aggressione russa a parole ma aumenta le importazioni di petrolio russo, restando nel contempo vicina agli USA per contenere la Cina). Dal punto di vista geopolitico, il Sud Globale si organizza in fori come il BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, recentemente allargato ad altri 6 Paesi) e sostiene richieste di riforma della governance globale: chiede più voce all’ONU (ad esempio seggi permanenti africani o asiatici in CdS) e una revisione delle istituzioni finanziarie internazionali, percepite come “post-coloniali” e ingiuste. Questo attivismo sta rendendo il Sud Globale un ago della bilancia alle Nazioni Unite: i suoi voti possono decidere il successo o meno di risoluzioni all’AG, e i suoi esponenti (come l’Unione Africana o il G77) spingono l’ONU verso temi chiave per i Paesi in via di sviluppo (lotta alla povertà, cambiamento climatico, debito, sviluppo sostenibile).
In sintesi, l’ONU del 2025 appare divisa in tre grandi schieramenti: un nucleo di democrazie liberali guidato dagli Stati Uniti, un asse autocratico con epicentro sino-russo, e un vasto gruppo di Paesi non-allineati o “fluidi” del Sud Globale. Questi blocchi non sono monolitici – esistono fratture e sovrapposizioni tematiche – ma forniscono una chiave di lettura utile per comprendere le alleanze e i contrasti emersi nei dibattiti recenti in Assemblea Generale e Consiglio di Sicurezza.
Il Consiglio di Sicurezza: Veti Incrociati e Dinamiche di Potere Reale
Nel Consiglio di Sicurezza, il potere di veto dei membri permanenti (P5) riflette gli equilibri della Seconda guerra mondiale, ma oggi viene usato come strumento geopolitico nelle nuove rivalità. Dal 1946 al 2022 la Russia/URSS ha usato il veto 143 volte, più di ogni altro (seguono gli USA con 86, poi Regno Unito ~30, e Cina e Francia ~18 ciascuno). Negli ultimi anni, Mosca e Pechino hanno fatto ricorso al veto con crescente frequenza, spesso in tandem, per fermare iniziative occidentali; parallelamente, Washington rimane pronta a bloccare qualunque risoluzione percepita contraria ai propri interessi o a quelli dei suoi alleati.
- L’“Abuso” del Veto Russo-Cinese: Dalla guerra civile siriana (2011) in poi, Russia e Cina hanno congiuntamente posto il veto a ripetute risoluzioni sul conflitto siriano, impedendo condanne al regime di Assad o sanzioni per crimini di guerra (Mosca ha usato il veto ben 14 volte solo sulla Siria dal 2011). La giustificazione addotta è la difesa della sovranità siriana e il timore di un “cambio di regime” forzato dall’esterno. Questo schema si è replicato su altri dossier: la Cina e la Russia nel maggio 2022 hanno bloccato una risoluzione USA che avrebbe inasprito le sanzioni contro la Corea del Nord, nonostante 13 voti favorevoli su 15 in CdS. Era la prima spaccatura su Pyongyang dopo anni di unità: Pechino e Mosca hanno motivato il veto invocando ragioni umanitarie e sostenendo che ulteriori sanzioni non avrebbero risolto la crisi nucleare nordcoreana. Un altro esempio eclatante è avvenuto nel dicembre 2021, quando una risoluzione proposta da Irlanda e Niger per riconoscere il cambiamento climatico come minaccia alla pace internazionale è stata approvata da 12 membri su 15, ma veto russi (con la sola India contraria insieme a Mosca e la Cina astenuta) l’hanno affossata. La Russia ha dichiarato “inaccettabile” ampliare il mandato del CdS a temi climatici, definendolo un pretesto per imporre restrizioni ai paesi in via di sviluppo. Questo episodio illustra la filosofia russo-cinese: limitare l’agenda del Consiglio ai conflitti tradizionali e impedire quella che vedono come una politicizzazione di temi scientifici o interni (siano essi clima, diritti umani o questioni elettorali). In breve, Russia e Cina utilizzano il veto come scudo per sé e i propri alleati (proteggendo Siria, Venezuela, Myanmar, Iran, Corea del Nord, ecc.), e come mezzo per contrastare l’influenza occidentale nelle Nazioni Unite. Non a caso, gli Stati occidentali denunciano un “vergognoso schema” di abuso del veto da parte della Russia, specie dopo l’invasione dell’Ucraina.
- Il Veto Americano e le Spaccature Occidentali: Anche gli Stati Uniti non hanno rinunciato al loro veto. Washington ha impiegato il veto 14 volte dal 2000, di cui 12 casi per tutelare Israele. La questione israelo-palestinese è infatti il terreno in cui il fronte occidentale si divide: gli USA regolarmente bloccano in CdS risoluzioni critiche verso Israele (anche se appoggiate da alleati europei), facendo del dossier mediorientale un’eccezione alla pretesa unità delle democrazie. Ad esempio, nell’ottobre 2023, durante la guerra tra Israele e Hamas a Gaza, gli USA hanno posto il veto su una bozza di risoluzione (presentata dal Brasile) che chiedeva una pausa umanitaria, pur avendo ottenuto 12 voti favorevoli su 15. L’ambasciatrice statunitense spiegò il veto col fatto che il testo non menzionava esplicitamente la condanna di Hamas, ma molti Stati (inclusi Francia e altri UE) hanno criticato tale posizione, evidenziando l’isolamento di Washington. Di contro, la Russia e la Cina hanno usato il veto su una proposta alternativa (circa una settimana dopo, sempre su Gaza) giudicata da loro troppo favorevole ad Israele. Questo scambio di veti incrociati ha lasciato il CdS incapace di adottare qualsiasi decisione sul conflitto, sottolineando come anche tra membri permanenti avversari occasionalmente si “scambino” veti su questioni diverse. La vicenda palestinese mostra che l’asse democrazie vs autocrazie può avere eccezioni: in questo caso le autocrazie (Cina, Russia) si sono allineate con la maggioranza dei Paesi del Sud Globale nel premere per un cessate-il-fuoco e la protezione dei civili palestinesi, mentre gli USA (democrazia liberale) si sono ritrovati quasi soli a difendere le posizioni israeliane. Ciò indica che i blocchi rigidi possono frantumarsi su temi specifici, laddove entrano in gioco interessi strategici o legami storici.
- Paralisi e Riforme: Il risultato di questi veti incrociati è una frequente paralisi decisionale del Consiglio di Sicurezza sulle crisi maggiori. La guerra in Ucraina ne è l’esempio lampante: nel febbraio 2022 la Russia ha posto il veto a una risoluzione di condanna della propria invasione, impedendo al CdS di agire. Episodi simili si sono ripetuti (es. veto russo a ottobre 2022 su una bozza che condannava i referendum illegali di annessione in Ucraina). Di fronte a questa situazione, gli altri membri dell’ONU hanno reagito con iniziative per aggirare o mitigare l’abuso del veto. L’Assemblea Generale, ad esempio, ha adottato nell’aprile 2022 una risoluzione (proposta dal Liechtenstein e co-sponsorizzata da oltre 80 Paesi, inclusi USA, UK e Francia) che istituzionalizza un dibattito automatico in AG ogni volta che un P5 usa il veto. Approvata per consenso unanime, questa misura – nota come “Veto Initiative” – obbliga il membro permanente che ha bloccato una decisione in Consiglio a spiegare le proprie ragioni di fronte all’intera Assemblea. Pur non eliminando il veto, la riforma punta ad accrescere la responsabilità e la trasparenza dei P5. Nel primo anno di applicazione, questo meccanismo è stato attivato varie volte (ad esempio dopo i veti incrociati sul conflitto di Gaza nel 2023, e ogni veto russo riguardante l’Ucraina): se non altro, ciò ha portato maggiore visibilità politica ai casi di stallo. In parallelo, si sono intensificati gli appelli per una riforma strutturale del Consiglio di Sicurezza: Africa, Asia e America Latina reclamano seggi permanenti per le potenze emergenti (come India, Brasile, rappresentanti africani) e la limitazione del diritto di veto almeno in casi di atrocità di massa. Proposte come quella storica di Francia e Messico (non usare il veto davanti a genocidi o crimini contro l’umanità) restano sul tavolo. Finora però ogni riforma incisiva è bloccata dalla necessità del consenso proprio dei P5 (che, salvo aperture retoriche degli USA e di qualche europeo, non intendono ridurre i propri privilegi). Il risultato è un Consiglio spesso definito “immobilizzato” e poco rappresentativo delle realtà attuali, il che spinge un numero crescente di Paesi a cercare soluzioni nelle dinamiche alternative dell’Assemblea Generale.
L’Assemblea Generale: Maggioranze, Risoluzioni Symboliche e Scontro di Narrative
All’Assemblea Generale, dove ogni Stato dispone di un voto e nessuno ha potere di veto, si riflettono gli orientamenti dell’opinione pubblica mondiale e si delineano i blocchi di influenza attraverso le coalizioni di voto. Negli ultimi anni l’AG è diventata il teatro di scontri diplomatici ad alta intensità, specie su questioni in cui il CdS è paralizzato. Le risoluzioni dell’AG, pur non vincolanti, hanno un forte peso politico e morale, poiché mostrano quanti Paesi al mondo sostengono o condannano una certa linea.
- L’isolamento (relativo) della Russia sulla scena globale: Dopo l’attacco all’Ucraina, Mosca ha dovuto affrontare una condanna quasi unanime in Assemblea Generale. Nella sessione speciale d’emergenza del 2 marzo 2022, 141 Stati votarono a favore di una risoluzione che “deplorava” l’aggressione russa e chiedeva il ritiro immediato delle truppe, a fronte di solo 5 voti contrari (Russia stessa, più Bielorussia, Siria, Corea del Nord ed Eritrea) e 35 astensioni. Questa schiacciante maggioranza – ben oltre i due terzi richiesti – ha evidenziato l’isolamento diplomatico di Mosca. Un anno dopo, nel febbraio 2023, una nuova risoluzione dell’AG ha ribadito la richiesta di pace giusta e ritiro delle forze russe, ottenendo 141 voti favorevoli, 7 contrari e 32 astensioni, a conferma di un trend simile. Da notare che tra i contrari alla condanna della Russia figurano praticamente solo regimi autocratici isolati (oltre a Russia e Bielorussia, di volta in volta la Corea del Nord, la Siria, e piccole autocrazie come l’Eritrea o il Mali), mentre le astensioni provengono in larga misura dal Sud Globale, includendo grandi democrazie emergenti (India, Brasile, Sudafrica) e la stessa Cina. Queste astensioni “pesanti” indicano che pur non appoggiando la Russia, molti Paesi in via di sviluppo non abbracciano pienamente la posizione occidentale: spesso invocano neutralità, dialogo e una prospettiva più equilibrata (ad es. ricordando che la NATO ha le sue responsabilità pregresse, o lamentando un’attenzione selettiva rispetto ad altri conflitti). Ciò non toglie che, statisticamente, oltre 140 nazioni hanno ripetutamente sostenuto l’integrità territoriale ucraina, segno di un ampio consenso sui principi violati dalla Russia. La Russia ha cercato di minimizzare questi voti sostenendo che l’Occidente avrebbe esercitato “pressioni e minacce ciniche” su molti governi per farli schierare. Al di là della retorica, il dato di fatto è che Mosca può contare solo su pochissimi alleati espliciti all’ONU, mentre la stragrande maggioranza dei Paesi o la condanna oppure si astiene diplomaticamente. Questo ha permesso agli occidentali di parlare di una Russia “isolata” a livello internazionale, per quanto Mosca cerchi di compensare enfatizzando il peso demografico ed economico di chi non la condanna (Cina, India e altre astensioni rappresentano più della metà dell’umanità, argomentano i russi).
- La narrazione contrapposta e il ruolo del Sud Globale in AG: I dibattiti dell’Assemblea Generale sono spesso l’occasione per uno scontro di narrative tra il blocco occidentale e quello autoritario, con il Sud Globale come platea decisiva. Da un lato, USA e alleati utilizzano l’AG per difendere l’ordine basato sulle regole e denunciare chi lo infrange: il linguaggio di molte risoluzioni e dichiarazioni occidentali in AG richiama i valori universali di democrazia, diritti umani e legalità internazionale. Dall’altro, Russia, Cina e i loro partner ribaltano l’accusa sostenendo di essere loro i veri difensori della Carta ONU, in particolare del principio di sovrana eguaglianza degli Stati e di non ingerenza negli affari interni. Diplomati russi e cinesi sfruttano il pulpito dell’AG per accusare l’“Occidente collettivo” di ipocrisia e neocolonialismo: celebre la frase del ministro Lavrov secondo cui “nessuno ha dato alla minoranza occidentale il diritto di parlare a nome di tutta l’umanità”. Questa retorica fa breccia in molte capitali africane e asiatiche, dove risuona il richiamo alla sovranità nazionale e al passato coloniale. Un episodio emblematico è stato il tentativo, durante la crisi ucraina, di presentare risoluzioni alternative “neutrali”: nel marzo 2022 il Sudafrica (nazione BRICS) propose in AG un testo che chiedeva il cessate-il-fuoco umanitario in Ucraina senza menzionare l’aggressione russa. Tale bozza, sostenuta attivamente da Cina e Russia, mirava a offrire un’opzione “meno divisiva” ai Paesi esitanti, ma è stata respinta (l’AG ha scelto di votare solo la risoluzione più dura presentata da Francia/Messico). La vicenda ha mostrato la strategia di Mosca e Pechino: utilizzare alleati nel Sud Globale per introdurre narrazioni alternative e attenuare il biasimo internazionale. Molti Paesi in via di sviluppo, pur non abboccando sempre a queste manovre, apprezzano il messaggio di fondo: un ordine mondiale multipolare, in cui le voci del Sud non siano subordinate ai diktat occidentali. In AG, ciò si traduce spesso in astensioni di gruppo o voti contrari a risoluzioni percepite come sponsorizzate dall’Occidente su temi di diritti umani, riforme politiche, sanzioni, ecc. Ad esempio, nell’aprile 2022 quando l’AG ha sospeso la Russia dal Consiglio ONU dei Diritti Umani a causa delle atrocità commesse in Ucraina, ben 58 Paesi si sono astenuti e 24 hanno votato contro, fra cui non solo gli alleati stretti di Mosca (Cina, Iran, Siria, Cuba, Nord Corea, ecc.), ma anche diverse democrazie africane e asiatiche che hanno preferito non prendere posizione netta. La risoluzione è comunque passata con 93 voti favorevoli, ma la mappa del voto ha rivelato il divario fra blocchi: Occidente e molti latino-americani sì; autocrati e alcuni grandi Paesi emergenti no o astenuti. Questo pattern si ripete su numerose questioni di diritti umani: le democrazie occidentali promuovono risoluzioni che condannano abusi (in Siria, Myanmar, Iran, Xinjiang cinese, ecc.), mentre Cina, Russia e altri autoritari le rigettano definendole “ingerenze politiche”, trovando talora sostegno nelle astensioni di Paesi del Sud che temono il precedente di condanne sulle proprie politiche interne.
- Voti su Palestina, clima e altre questioni globali: All’AG emergono anche coalizioni trasversali su temi specifici, talvolta slegate dal profilo democratico/autoritario dei Paesi. Sul conflitto israelo-palestinese, ad esempio, l’Assemblea ha storicamente approvato a larga maggioranza risoluzioni a favore dei diritti dei palestinesi e contro le politiche di occupazione israeliane. Nel recente voto del 28 ottobre 2023, nel pieno della guerra a Gaza, l’AG ha chiesto una “tregua umanitaria immediata” ottenendo 120 voti favorevoli e 14 contrari (tra cui USA e Israele), con 45 astensioni (tra cui Italia e Germania). Hanno votato “sì” non solo gli Stati arabi e gran parte del Sud Globale, ma anche alcuni Paesi europei, mentre Stati Uniti e pochi altri si sono opposti. In questo caso Cina e Russia hanno appoggiato la risoluzione propalestinese insieme alla maggioranza, evidenziando come la contrapposizione autocrazie vs democrazie non sia sempre netta: qui il discrimine era più che altro la storica alleanza USA-Israele, con diversi alleati occidentali che si sono discostati dalla posizione americana. Anche su cambiamento climatico, nell’AG c’è una convergenza quasi generale (es. nel 2022 una risoluzione, proposta da stati del Pacifico guidati da Vanuatu, che chiedeva un parere della Corte Internazionale di Giustizia sull’obbligo di contrastare il climate change è stata co-sponsorizzata da 120 Paesi e approvata per consenso). Ciò riflette il fatto che quasi tutti gli Stati riconoscono la gravità della crisi climatica, sebbene permangano divergenze su responsabilità e finanza climatica (con il G77 che chiede ai Paesi ricchi di onorare gli impegni sui 100 miliardi annui di aiuti climatici, finora disattesi). In generale, su temi globali come sviluppo sostenibile, salute pubblica, aiuti umanitari, la distinzione autoritari/liberali pesa meno e spesso l’AG trova ampie maggioranze trasversali.
In conclusione, l’Assemblea Generale negli ultimi anni ha visto alleanze flessibili: se sui grandi principi (integrità territoriale, condanna di aggressioni) la maggioranza degli Stati sostiene l’ordine liberale, su altre questioni (sanzioni, diritti umani, conflitti regionali) molti nel Sud Globale privilegiano un approccio pragmatico o neutrale, spesso allineandosi – almeno temporaneamente – con le narrative di Cina e Russia. Ciò ha costretto le potenze occidentali a un intenso lavoro diplomatico per convincere i “swing states” e ha dato vita a votazioni all’AG molto significative nel delineare i blocchi, come riassunto nella tabella seguente.
Blocchi Geopolitici e Posizioni in Votazioni ONU Recenti
La tabella seguente sintetizza come i principali blocchi di Paesi si sono schierati in alcune votazioni chiave all’ONU negli ultimi anni, su quattro temi emblematici: guerra in Ucraina, conflitto Israele-Palestina, cambiamento climatico e diritti umani. Si evidenziano le tendenze di voto di (1) democrazie occidentali, (2) autocrazie e alleati, e (3) Sud Globale non allineato:
Tema / Votazione ONU | Blocchi Occidentali (Democrazie liberali) | Blocchi Autocratici (Russia, Cina & alleati) | Paesi del Sud Globale (non allineati) |
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Aggressione russa in Ucraina (AG, 2022-2023) | Compattezza pro-Kiev: USA, UE, alleati votano in massa per condannare la Russia. Es: ris. 2/3/22: 141 Sì occidentali e globali. | Opposizione isolata: Russia vota No (con pochi regimi satelliti: Siria, NKorea, Eritrea). Cina e altri autocratici (es. Iran) tendono ad astenersi senza sostenere Mosca apertamente. | Divisione/Neutralità: Molti Paesi africani, asiatici e latinoamericani si astengono (es. India, Sudafrica, Brasile) pur criticando l’invasione. Alcuni (es. Turchia, Golfo) offrono mediazioni invece di schierarsi. |
Conflitto Israele-Palestina (CdS & AG) | Divisi internamente: USA usano regolarmente il veto in CdS per bloccare risoluzioni critiche di Israele. Alcuni alleati anglosassoni spesso con Washington, mentre vari europei votano a favore di risoluzioni pro-Palestina in AG o si astengono (es. Francia Sì a tregua Gaza 2023, Italia Astenuta). | Sostegno ai palestinesi: Autocrazie come Cina e Russia appoggiano dichiarazioni e risoluzioni a tutela dei civili palestinesi. In CdS, Mosca e Pechino hanno posto veti su testi giudicati filo-israeliani e propugnano il ruolo dell’ONU nel processo di pace. Iran, Siria e altri regimi anti-Israele votano sempre contro Israele in AG. | Maggioranza pro-Palestina: La gran parte del Sud Globale (Paesi arabi, islamici, Africa, Asia Latina) vota a favore di risoluzioni pro-Palestina – es. tregua umanitaria Gaza 2023 approvata con 120 Sì – vedendo la causa palestinese come lotta anti-coloniale. Alcuni Stati asiatici e latini più vicini agli USA si astengono o stanno nel mezzo. |
Cambiamento climatico & sicurezza (CdS, 2021) | Agenda climatica avanzata: Le democrazie occidentali (Europa in testa, con appoggio USA sotto Biden) spingono per includere il clima tra le questioni di sicurezza globale. Hanno votato Sì (12 voti) alla ris. CdS 12/2021 su clima e sicurezza, e promuovono attivamente iniziative verdi in sedi ONU. | Resistenza per sovranità: La Russia ha veto la risoluzione clima-sicurezza nel 2021, sostenuta solo dall’India (contraria) e con la Cina astenuta. Mosca e Pechino dichiarano che il CdS non deve occuparsi di clima, tema da trattare in altri fora. Spingono su approcci volontari e rifiutano vincoli che penalizzino il loro sviluppo. | Fronte variegato: I piccoli Stati insulari e i Paesi più vulnerabili (anche africani/asiatici) premono per riconoscere il cambiamento climatico come minaccia esistenziale, allineandosi con l’UE su questo. Invece grandi Paesi in via di sviluppo (India, Brasile, Sudafrica) temono che la “securitizzazione” del clima porti sanzioni o limiti allo sviluppo, e quindi si accodano allo scetticismo russo-cinese in CdS. |
Diritti umani e valori democratici (AG, 2022) | Linea dura occidentale: UE, USA e alleati votano compatti per denunciare violazioni (es. sospensione Russia dal Consiglio Diritti Umani, 93 Sì con larga componente occidentale). Promuovono risoluzioni su Siria, Iran, Myanmar, Xinjiang, ecc., invocando la responsabilità di proteggere e la democrazia. | Blocco anti-ingerenza: Regimi autoritari votano quasi sempre No su risoluzioni di condanna Paesi (vedendole come strumentalizzazioni politiche). Esempio: sospensione Russia dal CDH nel 2022 – contrari Russia, Cina, Cuba, Iran, NKorea, Siria ecc.. In sede ONU questi Stati presentano contro-risoluzioni a favore di un generico “dialogo costruttivo” sui diritti umani, per svuotare le critiche. | Astensioni strategiche: Molti Paesi del Sud Globale preferiscono non schierarsi apertamente: es. nella sospensione della Russia 58 astensioni (India, Brasile, Sudafrica, gran parte di Africa e M.O.). Spesso dichiarano principio di neutralità o rifiuto del “doppio standard”. Tuttavia alcune democrazie emergenti (es. Indonesia, Argentina, Nigeria) talvolta votano con l’Occidente sui diritti, specie se l’abuso è palese. |
Fonti: votazioni ONU riportate da agenzie e organi ufficiali. La tabella semplifica posizioni generali: su certe questioni specifiche possono esservi variazioni all’interno dei blocchi (ad es. Europa divisa su Palestina, alcune autocrazie votano con l’Occidente su risoluzioni di compromesso, ecc.), ma riflette le tendenze principali fino al 2025.
Conclusione e Prospettive al 2025
In questi ultimi anni, l’ONU è tornata ad essere lo specchio di un mondo multipolare e frammentato. La “contrapposizione tra Stati autoritari e Stati democratici/liberali” è diventata retorica corrente – alimentata anche dal discorso politico occidentale (si pensi ai Summit for Democracy lanciati dagli USA) – ma nei fatti si intreccia con le dinamiche regionali e gli interessi del Sud Globale. Cina e Russia hanno accresciuto il loro peso: sfruttano il veto in Consiglio di Sicurezza per difendere sé e gli alleati, promuovono un fronte diplomatico alternativo (es. il Gruppo di Amici della Carta ONU) e investono in influenza sul Sud Globale (dai prestiti “Belt and Road” al soft power nei fori multilaterali). Di fronte a ciò, le democrazie occidentali hanno rinsaldato le proprie alleanze e cercano di adattare l’ONU al nuovo contesto: sostenendo la trasparenza sull’uso del veto, proponendo ampliamenti del CdS e coinvolgendo di più le economie emergenti (come segnalato dagli sforzi europei verso Africa e America Latina nel 2023-24). Tuttavia, come ha notato il Segretario Generale Guterres, le tensioni tra grandi potenze sono “ai massimi storici” e il rischio di paralisi o addirittura confronto aperto “senza precedenti” permane.
Il ruolo dei Paesi del Sud Globale sarà determinante per l’evoluzione degli equilibri all’ONU. Queste nazioni hanno mostrato di poter formare un “terzo polo” con voce propria, né pienamente allineato a Washington né a Pechino-Mosca. Le loro richieste – più sviluppo, più rappresentanza, rispetto per la sovranità e soluzioni multilaterali ai problemi globali – stanno plasmando l’agenda delle Nazioni Unite. Ad esempio, nel 2024 è previsto un “Vertice del Futuro” ONU dove molti Stati chiedono un rinnovo del sistema di governance globale, segno della pressione riformatrice dal basso.
In definitiva, il quadro geopolitico all’ONU fino alla metà del 2025 è quello di un organismo che riflette le divisioni del mondo ma anche la ricerca di nuove formule cooperative. Se da un lato autocrazie e democrazie continuano a fronteggiarsi – dal Consiglio di Sicurezza bloccato dai veti contrapposti, all’Assemblea Generale divisa su narrative di ordine internazionale – dall’altro vi è consapevolezza diffusa che le sfide globali (guerre, clima, pandemie) richiedono un minimo comun denominatore. La speranza è che, nonostante lo scontro ideologico, sui temi cruciali si possano costruire alleanze trasversali e compromessi pragmatici. Il rischio opposto è un’ONU sempre più arena di scontro sterile, con il sistema multilaterale in crisi di legittimità. Come ha sintetizzato un autore, potremmo essere di fronte a un’era di “plurilateralismo a responsabilità limitata”: coalizioni di stati che agiscono insieme su certi obiettivi circoscritti, in assenza di un pieno consenso universale. L’equilibrio tra democrazie e autocrazie in seno all’ONU – in continua evoluzione – definirà in larga misura l’efficacia dell’Organizzazione nel mantenere la pace e affrontare le sfide comuni negli anni a venire.
Fonti: Analisi basata su documenti ufficiali ONU, dichiarazioni e notizie da organi d’informazione autorevoli e centri studi, inclusi: risultati di voto dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza riportati da UN News e media internazionali; articoli di approfondimento geopolitico (es. Lavoce.info sulla coalizione delle potenze autocratiche; Internazionale/Le Monde sul ruolo del Sud Globale); agenzie stampa come ANSA, Reuters e RaiNews (sui dibattiti ONU riguardo Ucraina, Gaza, clima); e fonti accademiche e think-tank consultate per il contesto storico e statistico. Queste fonti convergono nel descrivere un’ONU attraversata da nuove faglie di potere ma ancora centrale per comprendere – e possibilmente comporre – le rivalità tra modelli politici contrapposti.
Chi comanda all’ONU: riepilogo
Chi Comanda alle Nazioni Unite: Potere Formale, Influenza Reale e Scontro Ideologico
Introduzione: I Due Volti dell’ONU – Ideali della Carta contro Realtà Geopolitica
La domanda “Chi comanda veramente all’ONU?” non ammette una risposta semplice. Non esiste un singolo comandante, ma una costante e stratificata lotta per l’influenza che si svolge su più livelli. L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è definita da una tensione fondamentale, un paradosso insito nella sua stessa creazione: da un lato, gli ideali di uguaglianza sovrana tra gli Stati e di sicurezza collettiva sanciti dalla sua Carta 1; dall’altro, le dure realtà della politica di potenza, incastonate nella sua struttura fin dal 1945.3
Questo rapporto analizza la distribuzione del potere all’interno dell’ONU distinguendo tra l’autorità de jure, quella formale e legale delineata nello Statuto, e il potere de facto, l’influenza reale esercitata attraverso leve finanziarie, alleanze politiche e manovre strategiche. Questa dicotomia è cruciale per comprendere le dinamiche interne dell’Organizzazione. Le polemiche, le fazioni, i raggruppamenti di stati con regimi autoritari e la diffusione di disinformazione, osservate con preoccupazione dall’opinione pubblica, non sono fenomeni anomali, ma parte integrante del funzionamento dell’ONU nel XXI secolo. Essi riflettono una più ampia competizione ideologica globale che si manifesta all’interno delle sue sale.5
Il presente documento esplorerà prima l’architettura formale del potere, per poi analizzare le dinamiche informali di influenza, concentrandosi sul ruolo preponderante del Consiglio di Sicurezza. Successivamente, verranno esaminate le arene alternative di potere, come il finanziamento e i blocchi di voto, e i campi di battaglia ideologici, come il Consiglio per i Diritti Umani. Infine, si affronterà l’interminabile dibattito sulla riforma, per fornire un quadro completo e sfumato di chi, e come, esercita il comando alle Nazioni Unite.
Tabella 1: Le Due Strutture di Potere dell’ONU (Formale vs. Reale)
Fonte di Potere | Principale Sede (Formale) | Principale Sede (Informale/Reale) | Attori Chiave |
Legale/Coercitivo | Risoluzione del Consiglio di Sicurezza (Cap. VII) | Minaccia di veto dei P5; negoziati a porte chiuse | Membri Permanenti (P5): USA, Cina, Russia, Francia, Regno Unito |
Finanziario | Approvazione del bilancio (Assemblea Generale) | Contributi volontari vincolati; ritardi nei pagamenti | Maggiori donatori (USA, Cina, Giappone, Germania); Fondazioni private |
Militare/Umano | Autorizzazione missioni di peacekeeping (Consiglio di Sicurezza) | Fornitura di contingenti militari | Maggiori contributori di truppe (Nepal, India, Bangladesh, Ruanda) |
Politico/Normativo | Voto dell’Assemblea Generale (un paese, un voto) | Coordinamento dei blocchi di voto; influenza diplomatica | G77+Cina, Movimento dei Non Allineati (NAM), Unione Europea (UE), Unione Africana (AU) |
L’ONU è stata concepita con una contraddizione intrinseca e intenzionale: un organo di aspirazione democratica, l’Assemblea Generale, costruito attorno a un nucleo oligarchico, il Consiglio di Sicurezza. Questo non fu un errore, ma un compromesso necessario per garantire la partecipazione delle grandi potenze mondiali, evitando il destino fallimentare della Società delle Nazioni.3 L’Assemblea Generale incarna il principio “un paese, un voto”, simbolo dell’uguaglianza sovrana di tutti i membri.9 Al contrario, il Consiglio di Sicurezza concede a cinque membri permanenti (i P5) il potere di veto, una palese violazione di tale principio.7 Questa struttura fu il risultato diretto della Conferenza di Jalta e dell’insistenza dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale, che non avrebbero mai aderito a un’organizzazione in grado di agire contro i loro interessi vitali.7 Pertanto, la tensione e le lotte di potere osservate oggi non sono uno sviluppo recente, ma sono inscritte nel DNA dell’ONU fin dalla sua fondazione. Il “comando” è stato deliberatamente frammentato e ponderato sin dall’inizio.
Capitolo 1: L’Architettura dell’Autorità – Il Potere per Disegno
La Carta delle Nazioni Unite, all’articolo 7, istituisce sei organi principali, ciascuno con ruoli e poteri distinti, che costituiscono l’ossatura formale dell’Organizzazione.9
- L’Assemblea Generale (AG): È l’organo plenario e deliberativo in cui sono rappresentati tutti i 193 Stati membri, ciascuno con un voto.9 Le sue funzioni sono principalmente di natura raccomandatoria; può discutere qualsiasi questione rientri nei fini dell’ONU e indirizzare raccomandazioni agli Stati e agli altri organi.9 Detiene però poteri decisionali cruciali: approva il bilancio dell’Organizzazione, ripartisce le spese tra i membri, elegge i membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza e può istituire organi sussidiari, come ha fatto ampiamente creando programmi e fondi come l’UNICEF o l’UNDP.2
- Il Consiglio di Sicurezza (CS): È l’organo esecutivo a cui la Carta affida la “responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali”.9 A differenza dell’Assemblea, le sue decisioni possono essere giuridicamente vincolanti per tutti gli Stati membri, come stabilito dall’articolo 25 della Carta.9
- Il Segretariato: È l’apparato amministrativo permanente dell’ONU, guidato dal Segretario Generale. Quest’ultimo è nominato dall’Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza.9 Il Segretario Generale non è solo il più alto funzionario amministrativo, ma svolge anche importanti funzioni politiche e diplomatiche, agendo come mediatore e portando all’attenzione del Consiglio di Sicurezza questioni che minacciano la pace.11
- La Corte Internazionale di Giustizia (CIG): È il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. Risolve le controversie giuridiche tra gli Stati che ne accettano la giurisdizione e fornisce pareri consultivi. Le sue sentenze sono vincolanti per le parti in causa, ma la Corte non dispone di un meccanismo di esecuzione forzata.1
- Il Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC): Funge da piattaforma centrale per il coordinamento delle attività economiche e sociali dell’intero sistema ONU, che include una vasta rete di agenzie specializzate (come la FAO o l’UNESCO) e commissioni tecniche (come quella sui diritti umani o sulla condizione della donna).9
- Il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria: Istituito per supervisionare l’amministrazione dei territori in amministrazione fiduciaria e guidarli verso l’indipendenza, ha sospeso le sue funzioni nel 1994, avendo completato il suo mandato. La sua permanenza formale nella Carta testimonia il contesto storico della decolonizzazione in cui l’ONU è nata.1
La struttura formale disegna una chiara gerarchia di potere. L’autorità vincolante del Consiglio di Sicurezza in materia di pace e sicurezza lo colloca nettamente al di sopra del ruolo raccomandatorio dell’Assemblea Generale. L’articolo 25 della Carta obbliga tutti i membri a eseguire le decisioni del Consiglio 9, mentre le risoluzioni dell’Assemblea sono, in linea di principio, esortazioni politiche e morali prive di forza legale cogente.9 Questa architettura separa deliberatamente il “potere della borsa”, controllato dall’Assemblea Generale tramite l’approvazione del bilancio (articolo 17) 16, dal “potere della spada”, ovvero l’autorizzazione di misure coercitive, che è prerogativa esclusiva del Consiglio di Sicurezza.21 Di conseguenza, l’organo con la rappresentanza più ampia (l’Assemblea) possiede il minor potere “duro”, mentre l’organo con il potere più concentrato (il Consiglio) è il meno rappresentativo. Questo squilibrio strutturale è la fonte primaria del perenne dibattito tra legittimità ed efficacia che attraversa l’intero sistema delle Nazioni Unite.
Capitolo 2: La Sala di Comando – Il Consiglio di Sicurezza e la Prerogativa dei P5
Il vero centro di comando dell’ONU, almeno per quanto riguarda le questioni di pace e sicurezza, è il Consiglio di Sicurezza. La sua composizione e le sue regole di funzionamento riflettono un realismo politico che bilancia, e spesso sovrasta, gli ideali universalistici dell’Organizzazione.
L’Eredità Duratura del 1945
La struttura del Consiglio di Sicurezza – cinque membri permanenti (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti, i cosiddetti P5) e dieci membri non permanenti eletti dall’Assemblea Generale per un mandato di due anni – è una fotografia del mondo del 1945.11 Fu una concessione pragmatica alle grandi potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, ritenuta indispensabile per assicurare la loro partecipazione e impedire che l’ONU subisse la stessa sorte della Società delle Nazioni, indebolita proprio dall’assenza di attori cruciali.26 Questa architettura ha creato un sistema a due livelli, in cui lo status di membro permanente conferisce non solo un seggio a vita, ma anche un’enorme influenza istituzionale, un accesso privilegiato alle informazioni e la capacità di plasmare l’agenda e le procedure del Consiglio.27
Il Veto: Lo Strumento Supremo del Potere
Il potere più significativo dei P5 è il diritto di veto. L’articolo 27 della Carta stabilisce che le decisioni su questioni di merito (non procedurali) richiedono nove voti favorevoli, inclusi i “voti concorrenti dei membri permanenti”.7 Un singolo voto contrario da parte di uno dei P5 è sufficiente per blocare una risoluzione, indipendentemente dal sostegno degli altri 14 membri.7
L’uso del veto ha seguito le maree della geopolitica. Durante la Guerra Fredda, fu utilizzato centinaia di volte, principalmente dall’Unione Sovietica, causando frequenti paralisi.28 Dopo il 1990, il testimone è passato agli Stati Uniti, che lo hanno impiegato spesso per bloccare risoluzioni critiche nei confronti di Israele.29 Negli ultimi anni, si è assistito a un uso crescente e coordinato del veto da parte di Russia e Cina, in particolare per proteggere il regime siriano, e a un uso unilaterale da parte della Russia per impedire qualsiasi azione del Consiglio riguardo alla sua aggressione contro l’Ucraina.31
Oltre al veto esplicito, esiste il “veto nascosto”: la semplice minaccia di porre il veto è spesso sufficiente a impedire che una risoluzione venga messa ai voti, o a edulcorarne il testo durante i negoziati a porte chiuse, plasmando così gli esiti prima ancora che il dibattito pubblico abbia luogo.33
La Forza della Legge: I Poteri del Capitolo VII
L’autorità unica del Consiglio di Sicurezza deriva dal Capitolo VII della Carta. L’articolo 39 gli conferisce il potere esclusivo di determinare l’esistenza di una “minaccia alla pace, violazione della pace o atto di aggressione”.4 Sulla base di tale accertamento, il Consiglio può adottare misure giuridicamente vincolanti per tutti gli Stati membri. Queste possono variare da sanzioni economiche, interruzione delle relazioni diplomatiche ed embarghi (articolo 41), fino all’autorizzazione dell’uso della forza militare (articolo 42).4 Sebbene la Carta prevedesse la creazione di un esercito permanente dell’ONU (articolo 43), questo progetto non si è mai concretizzato. Nella prassi, il Consiglio autorizza Stati membri o coalizioni a usare la forza, oppure dispiega missioni di peacekeeping composte da personale militare e di polizia fornito volontariamente dagli Stati membri.4
Tabella 2: Esempi di Utilizzo del Veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU (2014-Presente)
Data | Oggetto della Risoluzione | Membro/i che ha/hanno posto il veto | Contesto e Giustificazione Dichiarata |
15 Marzo 2014 | Integrità territoriale dell’Ucraina (Crimea) | Russia | Risoluzione considerata “anti-russa” e non rappresentativa della volontà del popolo della Crimea.31 |
10 Aprile 2018 | Indagine su attacco chimico in Siria | Russia | Proposta considerata una provocazione e basata su prove non verificate per incolpare il governo siriano.31 |
25 Febbraio 2022 | Condanna dell’invasione russa dell’Ucraina | Russia | Risoluzione che condannava l'”operazione militare speciale” e chiedeva il ritiro immediato delle truppe.31 |
26 Maggio 2022 | Sanzioni contro la Corea del Nord | Cina, Russia | Le sanzioni avrebbero peggiorato la situazione umanitaria e non avrebbero risolto il problema della proliferazione.32 |
18 Ottobre 2023 | Tregua umanitaria a Gaza | Stati Uniti | La risoluzione non menzionava il diritto di Israele all’autodifesa dopo gli attacchi di Hamas.32 |
22 Marzo 2024 | Cessate il fuoco a Gaza (proposta USA) | Cina, Russia | Proposta considerata debole, politicizzata e non sufficientemente vincolante per fermare l’offensiva israeliana.32 |
4 Giugno 2025 | Cessate il fuoco a Gaza (proposta algerina) | Stati Uniti | La risoluzione non sosteneva l’accordo diplomatico in corso e avrebbe potuto mettere a rischio i negoziati.32 |
L’analisi del funzionamento del Consiglio di Sicurezza rivela che esso agisce meno come un “poliziotto globale” neutrale e più come un “concerto di potenze”, dove l’azione è possibile solo quando gli interessi dei P5 sono allineati o, quantomeno, non direttamente minacciati. Il veto non è stato concepito per essere uno strumento di giustizia universale, ma per impedire che l’ONU intraprendesse azioni contro una grande potenza, evento che avrebbe potuto scatenare una guerra mondiale, ovvero l’esatto contrario dello scopo per cui l’Organizzazione è stata creata.7 L’uso del veto per proteggere interessi nazionali vitali (come la Russia in Ucraina o gli Stati Uniti riguardo a Israele) dimostra che il Consiglio non sta “fallendo”, ma sta operando secondo il suo progetto fondativo, basato sulla realpolitik.31 Il divario percepito tra le aspettative del pubblico (un governo mondiale) e la sua natura reale (un meccanismo di gestione della sicurezza tra grandi potenze) genera continue crisi di legittimità.
Proprio la paralisi del Consiglio su crisi epocali come l’Ucraina e Gaza ha innescato una reazione dinamica da parte dell’Assemblea Generale, evidenziando una lotta di potere tra gli organi dell’ONU. In risposta ai veti russi e americani 31, l’Assemblea ha invocato la risoluzione “Uniting for Peace” (Uniti per la pace), un meccanismo risalente alla Guerra di Corea che le permette di discutere questioni di pace e sicurezza quando il Consiglio è bloccato.14 Inoltre, con la risoluzione 76/262, l’Assemblea ha istituito un meccanismo che convoca automaticamente una seduta ogni volta che viene posto un veto in Consiglio, obbligando di fatto il P5 che lo ha usato a giustificare pubblicamente la sua decisione davanti a tutti i 193 membri.33 Sebbene queste misure non conferiscano all’Assemblea poteri vincolanti, aumentano il costo politico del veto e spostano il centro del dibattito, rappresentando un chiaro tentativo della membership allargata di rivendicare autorità e di ritenere i P5 responsabili delle loro azioni.
Capitolo 3: La Periferia Contesa – Arene Alternative di Influenza
Al di là della struttura formale e del potere di veto, il comando all’ONU viene esercitato attraverso canali informali ma estremamente potenti. Il controllo delle risorse finanziarie, la fornitura di personale per le missioni e la coesione dei blocchi di voto creano una mappa del potere parallela e complessa.
Il Potere della Borsa: La Leva Finanziaria
Il potere all’ONU si misura anche in dollari. Esistono due canali principali di finanziamento, entrambi fonti di influenza significativa:
- Contributi Obbligatori: Il bilancio ordinario e quello per le operazioni di peacekeeping sono finanziati da contributi obbligatori, calcolati in base alla capacità economica di ciascuno Stato membro. I maggiori contribuenti sono, in ordine, Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania.38 In teoria, il mancato pagamento può comportare la perdita del diritto di voto in Assemblea Generale.12 Tuttavia, nella pratica, i grandi contribuenti come gli Stati Uniti sono stati storicamente in ritardo con i pagamenti senza subire questa sanzione, a dimostrazione della loro influenza e dell’imprescindibilità del loro apporto.40
- Contributi Volontari: Gran parte del lavoro operativo dell’ONU, in particolare nei settori umanitario e dello sviluppo, dipende da contributi volontari destinati a specifiche agenzie come l’UNICEF, il Programma Alimentare Mondiale (PAM), l’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR) o l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).39 Questo meccanismo conferisce un potere enorme ai grandi donatori, che includono non solo Stati come gli USA 43, ma anche attori non statali come la Fondazione Bill & Melinda Gates.45 Poiché questi fondi sono spesso “vincolati” (earmarked), ovvero destinati a progetti specifici scelti dal donatore, essi permettono di orientare le priorità e le attività delle agenzie, bypassando in parte il processo decisionale collettivo e creando una struttura di potere basata sugli interessi dei finanziatori.46
Il Potere degli Stivali sul Terreno: I Contributi alle Missioni di Pace
Esiste una netta separazione tra chi finanzia le operazioni di peacekeeping e chi fornisce il personale militare e di polizia.
- I principali contribuenti finanziari sono le nazioni più ricche: Stati Uniti (26.95%), Cina (18.69%), Giappone (8.03%) e Germania (6.11%).48
- I principali contribuenti di truppe provengono quasi esclusivamente dal Sud del mondo. Paesi come Nepal, India, Bangladesh, Ruanda e Pakistan forniscono la stragrande maggioranza dei Caschi Blu.48
Questa dinamica conferisce a questi ultimi un tipo diverso di influenza e un interesse diretto nella politica di peacekeeping. Per molti di questi paesi, la partecipazione alle missioni è fonte di prestigio nazionale, influenza diplomatica e anche di entrate economiche, dato che l’ONU rimborsa gli Stati per ogni soldato impiegato.48 Al contempo, questa situazione solleva preoccupazioni, poiché alcuni dei maggiori fornitori di truppe sono stati segnalati per alti rischi di corruzione nei loro settori della difesa, con potenziali ricadute sull’efficacia e la condotta delle missioni.52
Tabella 3: Una Storia di Due Contributi (Dati 2024)
Rango | Primi 10 Contribuenti Finanziari al Peacekeeping (%) | Primi 10 Contribuenti di Truppe/Polizia (Personale) | |
1 | Stati Uniti (26.95%) | Nepal (6,110) | |
2 | Cina (18.69%) | India (6,069) | |
3 | Giappone (8.03%) | Ruanda (5,910) | |
4 | Germania (6.11%) | Bangladesh (5,827) | |
5 | Regno Unito (5.36%) | Pakistan (4,122) | |
6 | Francia (5.29%) | Indonesia (2,707) | |
7 | Italia (3.19%) | Ghana (2,641) | |
8 | Canada (2.63%) | Cina (1,870) | |
9 | Repubblica di Corea (2.57%) | Marocco (1,710) | |
10 | Federazione Russa (2.29%) | Egitto (1,635) | |
Fonti: 49 |
Il Potere dei Numeri: Blocchi Politici e Fazioni
Nell’arena dell’Assemblea Generale, dove ogni Stato ha un voto, il potere si costruisce attraverso alleanze e blocchi di voto coordinati.
- Il Gruppo dei 77 (G77) e la Cina: È la più grande organizzazione intergovernativa di paesi in via di sviluppo, che oggi conta 134 membri e rappresenta l’80% della popolazione mondiale.53 Agisce come un potente blocco negoziale, specialmente su questioni economiche e di sviluppo, promuovendo un “Nuovo Ordine Economico Internazionale” e contrastando le priorità delle nazioni sviluppate.53
- Il Movimento dei Paesi Non Allineati (NAM): Nato durante la Guerra Fredda, il NAM raggruppa 120 Stati che non si allineano formalmente con nessuna grande potenza.56 Sebbene il suo scopo originario sia mutato, rimane un caucus influente, spesso sovrapposto al G77, che promuove gli interessi del Sud globale e sfida il predominio dei P5.56
- L’Unione Europea (UE): I 27 Stati membri dell’UE spesso coordinano le loro posizioni e votano come un blocco unico in Assemblea Generale per massimizzare la loro influenza collettiva.59 Tuttavia, su temi politicamente sensibili come il conflitto israelo-palestinese, questa coesione può incrinarsi, rivelando profonde divisioni interne.61
- L’Unione Africana (AU): Con i suoi 55 membri, l’AU è un blocco cruciale, soprattutto su questioni di pace, sicurezza e sviluppo nel continente. La sua posizione unitaria sulla riforma del Consiglio di Sicurezza (il “Consenso di Ezulwini”), che chiede seggi permanenti con diritto di veto, è un fattore determinante nel dibattito sulla riforma.63
Il “comando” all’ONU non si esaurisce nel veto. Viene esercitato anche attraverso il “potere della borsa”, che opera in due modi distinti: i contributi obbligatori forniscono leva sulla macchina burocratica centrale, mentre i contributi volontari e vincolati permettono ai potenti donatori di aggirare i processi decisionali collettivi e di plasmare direttamente l’agenda operativa dell’ONU sul campo. Questo sistema di finanziamento, dove i fondi volontari superano di gran lunga quelli obbligatori per molte agenzie 47, crea di fatto un “mercato” per gli aiuti umanitari e i progetti di sviluppo. Le priorità vengono così dettate non dal consenso dei 193 membri, ma dagli interessi di poche decine di grandi donatori, statali e privati.43
A questa forma di potere de facto si contrappone la forza dei numeri. L’ascesa di blocchi di voto coesi, in particolare quelli del Sud globale come il G77, il NAM e l’AU, rappresenta la principale forza di bilanciamento al dominio dei P5 e dei ricchi paesi donatori. L’Assemblea Generale è diventata l’arena principale di questa controffensiva. Usando la loro schiacciante maggioranza numerica, questi blocchi approvano risoluzioni che riflettono le loro priorità su temi come lo sviluppo, la finanza climatica, la decolonizzazione e la Palestina.55 Sebbene non vincolanti, queste risoluzioni possiedono un notevole peso morale e politico, contribuendo a definire le norme internazionali e a isolare diplomaticamente paesi come gli Stati Uniti e Israele su questioni specifiche, come dimostra il voto annuale contro l’embargo a Cuba.67 Questo dimostra che, mentre i P5 “comandano” il Consiglio di Sicurezza, il Sud globale può “comandare” l’agenda e la narrativa morale dell’Assemblea Generale, in un perenne braccio di ferro per la legittimità e l’influenza.
Capitolo 4: Il Campo di Battaglia Ideologico – Una Nuova Era di Confronto
La domanda iniziale su chi comanda all’ONU tocca una dimensione sempre più evidente: lo scontro ideologico tra visioni del mondo contrapposte. Le Nazioni Unite non sono solo un’arena di interessi geopolitici ed economici, ma anche il principale campo di battaglia per la definizione dei principi che dovrebbero governare le relazioni internazionali.
Un’Alleanza di Autocrati? La Frattura tra Democrazie e Autoritarismi
La percezione di “stati dittatoriali” che si uniscono contro le democrazie liberali trova riscontro in una crescente frattura ideologica. Il mondo è sempre più diviso tra democrazie (piene e imperfette), regimi ibridi e regimi autoritari.69 Questa divisione si riflette chiaramente nei modelli di voto e nelle alleanze diplomatiche all’ONU. Stati come la Russia e la Cina guidano spesso un blocco di paesi che si oppongono a risoluzioni su diritti umani, responsabilità per crimini internazionali e interventi umanitari, etichettando tali iniziative come violazioni della sovranità nazionale e ingerenze negli affari interni.5 Non si tratta di un’alleanza formale, ma di una coalizione di convenienza basata su interessi condivisi: resistere al controllo esterno e promuovere una visione del mondo stato-centrica, in aperta sfida all'”ordine internazionale basato sulle regole” sostenuto dalle democrazie occidentali.74
Il Consiglio per i Diritti Umani: Da Forum a Campo di Battaglia
Il Consiglio per i Diritti Umani (CDU), creato nel 2006 per essere un organo meno politicizzato del suo predecessore, è diventato uno dei principali teatri di questo scontro ideologico.76 Una delle critiche più feroci riguarda l’elezione nel Consiglio di paesi con pessimi precedenti in materia di diritti umani. Questi Stati, una volta membri, lavorano attivamente per indebolire i meccanismi di monitoraggio, bloccare le risoluzioni specifiche per paese e proteggersi a vicenda dal controllo internazionale, minando la credibilità stessa dell’organo.77
Un caso di studio emblematico è il trattamento differenziato riservato a Russia e Cina. Dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia è stata sospesa dal CDU con un voto dell’Assemblea Generale 73 e ha successivamente fallito nel tentativo di essere rieletta.81 Al contrario, una mozione guidata dai paesi occidentali per avviare un semplice dibattito sulle violazioni dei diritti umani nella regione cinese dello Xinjiang è stata respinta. La Cina è riuscita a mobilitare un numero sufficiente di voti contrari e di astensioni, soprattutto da parte di paesi africani e mediorientali con cui intrattiene forti legami economici, dimostrando la sua crescente influenza e la natura selettiva e politicizzata della giustizia internazionale.72
La Guerra delle Narrazioni: Disinformazione e Propaganda
La diffusione di “bugie”, come menzionato nella domanda iniziale, è diventata una tattica centrale in questo scontro. Le piattaforme ONU sono regolarmente utilizzate per campagne di disinformazione. La Russia, ad esempio, è stata formalmente accusata di usare il suo seggio al Consiglio di Sicurezza per diffondere false narrazioni per giustificare la guerra in Ucraina, come le infondate accuse di “genocidio” nel Donbas o la teoria cospirativa sui laboratori di armi biologiche finanziati dagli Stati Uniti.84 L’ONU stessa ha riconosciuto la disinformazione – definita come la diffusione deliberata di informazioni false per causare un danno grave – come una minaccia diretta ai diritti umani e alla pace.86
Le accuse di disinformazione sono diventate a loro volta un’arma. L’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ha denunciato di essere vittima di una campagna di disinformazione sistematica volta a etichettarla come un’organizzazione affiliata al terrorismo, con l’obiettivo di delegittimare il suo operato e tagliare i suoi finanziamenti.87 Questo scontro tra narrazioni contrapposte rende sempre più difficile stabilire una base fattuale comune, indispensabile per la risoluzione dei conflitti.
Lo scontro ideologico in seno all’ONU non è una semplice divergenza di opinioni, ma un conflitto fondamentale sui principi organizzativi del sistema internazionale. Da un lato, gli Stati democratici promuovono un ordine basato su diritti universali e un diritto internazionale che, in casi estremi come i crimini di massa, può prevalere sulla sovranità nazionale, come incarnato da concetti quali la “Responsabilità di Proteggere” (R2P) e la giustizia penale internazionale.75 Dall’altro, Stati autoritari come Russia e Cina difendono un modello westfaliano in cui la sovranità nazionale è assoluta e il principio di non ingerenza è sacro, considerando i concetti promossi dall’Occidente come pretesti per interventi e cambi di regime.3 La battaglia per il “comando” dell’ONU è, in ultima analisi, una battaglia per definire la sua stessa ragion d’essere: è un protettore dei diritti umani universali o un garante della sovranità statale sopra ogni altra cosa?
La capacità degli Stati autoritari, e in particolare della Cina, di bloccare iniziative e raccogliere consensi non si basa solo sulla coercizione economica. Si fonda anche su una narrazione potente che trova eco in molti paesi del Sud globale, storicamente diffidenti verso l’ipocrisia e l’interventismo occidentale. La denuncia dei “doppi standard” – per cui i governi occidentali condannano le violazioni dei diritti umani dei loro avversari ma tacciono su quelle commesse dai loro alleati – è un tema ricorrente e potente.6 Molte nazioni in via di sviluppo, pur non essendo esse stesse regimi autoritari, vedono nell’enfasi sulla sovranità statale uno scudo contro le ingerenze delle ex potenze coloniali.78 Di conseguenza, il “blocco autoritario” trae forza da questo profondo risentimento post-coloniale, trasformandosi da un semplice “club di dittatori” in una coalizione complessa con radici storiche profonde.
Capitolo 5: L’Infinita Ricerca della Riforma – Rimodellare un’Istituzione del XX Secolo
La consapevolezza degli squilibri di potere e delle disfunzioni dell’ONU ha alimentato per decenni un dibattito sulla sua riforma. Questa discussione, tuttavia, è essa stessa un’arena di scontro in cui si riflettono le stesse dinamiche di potere che si cerca di modificare.
Riformare la Sala di Comando: L’Impasse del Consiglio di Sicurezza
Il cuore del dibattito sulla riforma è il Consiglio di Sicurezza. L’obiettivo è renderlo più rappresentativo delle realtà geopolitiche del XXI secolo, superando l’assetto congelato al 1945.27 Le principali proposte sul tavolo sono tuttavia mutualmente esclusive, creando una situazione di stallo.
- Le Nazioni del G4 (Brasile, Germania, India, Giappone): Questo gruppo preme per un allargamento del Consiglio sia nei seggi permanenti che in quelli non permanenti. I quattro paesi si candidano a diventare nuovi membri permanenti, sostenendo che la loro inclusione rifletterebbe meglio il peso economico e demografico globale attuale.90
- Il Gruppo Uniting for Consensus (UfC): Guidato dall’Italia e comprendente paesi come Pakistan, Messico e Corea del Sud, l’UfC si oppone fermamente alla creazione di nuovi seggi permanenti nazionali. Tale mossa, a loro avviso, creerebbe solo nuovi privilegi e disuguaglianze. Propongono invece un allargamento solo dei seggi non permanenti, introducendo una categoria di seggi a più lunga durata (ad esempio 3-5 anni) con possibilità di rielezione immediata, assegnati a gruppi regionali anziché a singoli Stati.93
- L’Unione Africana (AU): Aderendo al “Consenso di Ezulwini”, l’Unione Africana chiede una riparazione per quella che definisce una “ingiustizia storica”. La sua posizione è la più radicale: chiede non meno di due seggi permanenti per le nazioni africane, con pieni poteri di veto, oltre a un aumento dei seggi non permanenti per il continente.63
Le posizioni dei P5 sono frammentate e dettate dall’interesse a preservare il proprio status. Gli Stati Uniti hanno recentemente espresso sostegno a nuovi seggi permanenti per l’Africa e per il G4, ma a condizione che non abbiano il diritto di veto, una proposta che svuota di significato la richiesta di molti candidati.92 Qualsiasi modifica alla Carta richiede una maggioranza di due terzi dell’Assemblea Generale e, soprattutto, la ratifica da parte di tutti e cinque i membri permanenti. Questo significa che ogni P5 ha, di fatto, un veto sulla riforma stessa, creando un circolo vizioso che rende quasi impossibile un cambiamento strutturale.30
Tabella 4: Visioni a Confronto per la Riforma del Consiglio di Sicurezza
Proposta / Blocco | Nuovi Seggi Permanenti Proposti | Nuovi Seggi Non Permanenti Proposti | Posizione sul Veto | Principali Sostenitori |
G4 | 6 nuovi seggi (G4 + 2 africani) | 4 nuovi seggi | Estensione ai nuovi membri (possibilmente dopo un periodo di transizione) | Brasile, Germania, India, Giappone 90 |
Uniting for Consensus (UfC) | Nessun nuovo seggio permanente nazionale. Creazione di seggi a lungo termine (3-5 anni) rieleggibili, assegnati a gruppi regionali. | Aumento dei seggi biennali per portare il totale a 20 membri non permanenti. | Abolizione o limitazione del veto esistente. Nessun nuovo veto. | Italia, Pakistan, Messico, Corea del Sud, Canada, Spagna, Turchia 95 |
Unione Africana (AU) | Almeno 2 nuovi seggi con pieni poteri | Almeno 5 seggi totali | Il diritto di veto deve essere esteso ai nuovi membri permanenti africani | 55 Stati membri dell’Unione Africana 63 |
Rafforzare il Sistema: Oltre il Consiglio di Sicurezza
Di fronte all’impasse sul Consiglio, i dibattiti sulla riforma si sono concentrati anche su altri aspetti del sistema ONU.
- Potenziare l’Assemblea Generale: Le proposte mirano a rafforzare il ruolo dell’Assemblea in materia di pace e sicurezza quando il Consiglio è bloccato, formalizzando e rendendo più incisivo il meccanismo “Uniting for Peace”.31 Iniziative come il “Patto per il Futuro”, discusso nel 2024, cercano di rinvigorire il multilateralismo concentrandosi su obiettivi condivisi come lo sviluppo sostenibile e l’inclusione di nuovi attori, come i giovani e la società civile, nei processi decisionali globali.103
- Riforma Finanziaria e Gestionale: Esiste una spinta costante per una maggiore trasparenza, responsabilità (accountability) ed efficienza nella gestione e nel bilancio dell’ONU.105 Ciò include appelli per flussi di finanziamento più stabili e prevedibili, per superare le crisi di liquidità causate dai ritardi nei pagamenti da parte degli Stati membri 106, e per l’introduzione di meccanismi di rendicontazione più stringenti per prevenire corruzione e sprechi.108
Il dibattito sulla riforma dell’ONU è, in realtà, un microcosmo della più ampia lotta per il comando del sistema internazionale. Non è un esercizio tecnico, ma una cruda battaglia politica su chi debba stabilire le regole del gioco per il XXI secolo. La proposta del G4 mira a elevare le potenze emergenti al vertice, riflettendo i nuovi equilibri economici e demografici.90 La proposta dell’UfC cerca di prevenire la creazione di una nuova e più ampia oligarchia, favorendo un sistema più democratico e flessibile a vantaggio delle potenze medie.95 La proposta dell’Unione Africana è, fondamentalmente, una richiesta di decolonizzazione della struttura di potere internazionale e di riparazione di un’ingiustizia storica.63 I P5, nel frattempo, tentano di gestire questo processo per preservare il più possibile il loro status privilegiato.92 Lo stallo esiste perché non c’è consenso su quale debba essere il nuovo ordine mondiale.

Conclusione: Un Comando Frammentato
Alla domanda “Chi comanda veramente all’ONU?”, la risposta più accurata è che il comando è frammentato, situazionale e costantemente conteso. Non esiste un’autorità singola e monolitica, ma una pluralità di centri di potere che prevalgono a seconda del contesto e dell’arena.
- Sulle questioni di guerra e pace, il comando è detenuto dai cinque membri permanenti (P5) del Consiglio di Sicurezza attraverso il loro potere di veto. Tuttavia, questo è un comando negativo: possono bloccare l’azione, ma possono agire solo quando i loro interessi convergono. Quando divergono, come sempre più spesso accade, nessuno comanda e la paralisi è l’esito inevitabile.
- Sulle questioni di bilancio e priorità istituzionali, i maggiori contributori finanziari – guidati dagli Stati Uniti, ma con un peso crescente della Cina – esercitano un’influenza determinante. Il loro potere di negoziazione sul bilancio obbligatorio conferisce loro una leva significativa sulla struttura e sul funzionamento dell’Organizzazione.
- Sulle questioni di lavoro operativo (aiuti umanitari, sviluppo), il comando è esercitato da una coalizione di grandi donatori statali e privati. Attraverso i contributi volontari vincolati, essi sono in grado di orientare l’agenda e le priorità delle agenzie ONU sul campo, creando un sistema di governance parallelo guidato dagli interessi dei finanziatori.
- Sulle questioni di norme globali, legittimità e narrativa, i blocchi di voto dell’Assemblea Generale, in particolare il G77+Cina e il Movimento dei Non Allineati, possono comandare l’agenda. Pur non avendo potere coercitivo, la loro schiacciante maggioranza numerica permette loro di plasmare il diritto internazionale, definire la moralità globale e isolare politicamente gli avversari, esercitando una potente forma di “soft power”.
- Sulle questioni ideologiche, è in corso una lotta per il comando tra Stati a vocazione democratica e Stati a tendenza autoritaria. Ogni fazione cerca di imporre la propria interpretazione di concetti fondamentali come la sovranità, i diritti umani e l’intervento, combattendo per definire l’anima stessa del sistema multilaterale.
In definitiva, è più corretto considerare l’ONU non come un attore con un comandante, ma come la principale arena in cui questi centri di potere competono per l’influenza.111 I suoi successi e i suoi fallimenti non sono altro che il riflesso diretto dello stato della geopolitica globale.
In questo scenario complesso, per promuovere i propri interessi e valori, gli Stati democratici devono adottare una strategia multi-dimensionale. Non basta più fare affidamento sulle strutture formali. È necessario rafforzare le alleanze e la coesione di voto con altre democrazie nell’Assemblea Generale e nel Consiglio per i Diritti Umani. È fondamentale impegnarsi in un dialogo autentico con il Sud globale, riconoscendo la legittimità delle sue rivendicazioni (come la riforma del Consiglio di Sicurezza e la giustizia climatica) per contrastare le narrazioni autoritarie. Bisogna inoltre sostenere attivamente proposte di riforma credibili che aumentino sia l’efficacia che la legittimità del sistema, combattere la disinformazione con trasparenza e usare le leve finanziarie in modo strategico per promuovere i valori democratici e l’accountability all’interno dell’intero sistema ONU. La battaglia per il futuro dell’ordine internazionale si combatte, oggi più che mai, all’interno del Palazzo di Vetro.