C’è stato un tempo in cui l’Italia si fermava davanti alla televisione per seguire La Ruota della Fortuna o Rischiatutto. Famiglie riunite, applausi in studio, e il sogno – spesso realizzato – di vincere un premio rispondendo alla domanda giusta. Ma dietro a quelle trasmissioni non c’era solo spettacolo: c’era un sistema economico, fatto di pubblicità, autori, tecnici, sponsor e professionisti dello show business. E oggi, quel sistema si è spostato – o meglio, si è evoluto – online.
La televisione come fabbrica dell’intrattenimento
Fin dagli anni ‘50 la TV ha assunto un ruolo centrale nel plasmare gusti, desideri e modelli di successo. I primi quiz a premi avevano uno scopo chiaro: intrattenere il pubblico e monetizzare l’audience. Più telespettatori significava più inserzionisti, più incassi pubblicitari, più lavoro per l’intero comparto produttivo televisivo.
Con il passare degli anni, i format si sono moltiplicati e sofisticati: da Ok, il prezzo è giusto! a Chi vuol essere milionario?, la componente di suspense e guadagno (reale o percepito) è rimasta il centro dell’attenzione. E intanto, chi produceva quei programmi costruiva carriere, aziende, occasioni.

Cambia lo schermo, non il meccanismo
L’avvento di internet e del mobile ha trasformato il modo in cui ci si intrattiene. Oggi un ragazzo può vivere esperienze simili a quelle dei quiz TV direttamente dallo smartphone: giochi, app, streaming, format interattivi e contenuti gamificati sono disponibili in ogni momento, a portata di dito.
Ma come per la televisione, anche questo universo digitale non vive di sola passione. Dietro ogni app coinvolgente c’è un team di sviluppatori, grafici, esperti di user experience e strategie di fidelizzazione. La gamification non è solo un gioco: è un linguaggio che impatta la comunicazione, il marketing e la tecnologia.
Un esempio concreto è plinko go, un gioco online che riprende il celebre meccanismo a caduta del Plinko americano (reso celebre da The Price is Right) e lo semplifica per l’utente moderno. Grafica essenziale, suoni ipnotici, possibilità di giocare ovunque. Ma dietro questa immediatezza c’è un lavoro complesso, che coinvolge programmatori, designer e business developer.
Nuove professioni per un nuovo pubblico
I giovani di oggi non sono solo spettatori o giocatori: sempre più spesso cercano lavoro in questo ambito perché aspirano a entrare nel dietro le quinte dell’intrattenimento digitale. Che si tratti di creare app, ideare format, costruire piattaforme o curare contenuti per creator e streamer, il confine tra svago e lavoro si fa sempre più sottile. E se un tempo l’ambizione era «andare in TV», oggi è creare una community su Twitch, progettare un gioco virale o collaborare con un team creativo.
L’economia dell’intrattenimento si è decentralizzata, ma non ha perso il suo potere attrattivo. Anzi, grazie alla tecnologia, è più accessibile e capillare di prima, pur restando profondamente strutturata.
Un’economia in cui il valore cambia volto
Come ha sottolineato l’economista Joseph Stiglitz, «oggi il valore non si misura più solo con la produzione materiale, ma anche con la capacità di generare attenzione, dati e interazioni». In questo scenario, anche l’intrattenimento – dai vecchi format televisivi ai giochi online – diventa una leva economica, alimentata da meccanismi nuovi: algoritmi, visibilità social, engagement e microtransazioni.
È un’economia in cui la creatività è un asset, la velocità è un vantaggio competitivo e il pubblico non è solo un destinatario, ma una risorsa attiva. E dove anche un gioco semplice e immediato può diventare il motore di un’intera filiera di lavoro e innovazione.